martedì 12 febbraio 2013

Terrorismo di Stato

Durante una crisi economica e politica, l'ultima cosa di cui avevamo bisogno era assistere alle dimissioni di un importante capo spirituale come il Papa: l'ennesimo abbandono da parte di un uomo percepito come una guida da tante persone in tutto il mondo. 
Ciò conferma la sensazione che il nostro periodo storico non sia difficile perché mancano i soldi o perché la morale è andata a farsi benedire: il vero problema è nell'assenza di istituzioni e guide per il popolo, che si ritrova solo ad affrontare ciò che di più triste c'è nella vita di un individuo, ovvero la perdita dei punti di riferimento. D'altra parte forse il senso di smarrimento è l'unica cosa che giustifica le correnti apocalittiche del momento, tra profezie e misteri religiosi incentrati sulla fine del mondo che, come al solito, è vicina.

Poiché uno Stato non può governare serenamente se il popolo si sente abbandonato e messo da parte, verrebbe da aspettarsi un tentativo di riavvicinamento della politica ai cittadini, soprattutto a quelli appartenenti alle fasce più deboli, non fosse altro che siamo in campagna elettorale e proprio ora, dopo seicento anni, ci ritroviamo senza Papa. 
Invece no, sembra ce la stiano mettendo tutta per farsi odiare: dagli scandali bancari a sinistra alle false promesse a destra, a tecnici che si ricordano di abbassare le tasse quando non sono più al governo, fino alle piazze, dove la gente comincia finalmente ad arrabbiarsi e riceve, neanche a farlo apposta, una carica di mattonate fra i denti. 
Basandoci su fatti di cronaca anche molto recenti appare infatti evidente che, in occasione di una crisi, l'unica contromisura adottata sia la repressione di ogni protesta, anche e soprattutto con metodi discutibili. C'è chi se ne occupa già da un pò. 

Si dirà: in molti casi sono i manifestanti a cercarsela, la polizia è tenuta a contenere la violenza e la politica non può che condannarne l'uso. 
Ci sono però dei casi eclatanti che hanno fatto molto discutere; solo per citare Anarchopedia (che su questi temi è particolarmente attendibile): 
  • Marcello Lonzi, ucciso nel carcere di Livorno l'11 luglio 2003;
  • Federico Aldrovandi, assassinato il 25 settembre 2005;
  • Riccardo Rasman, morto a Trieste il 27 ottobre 2006;
  • Aldo Bianzino, trovato morto nel carcere di Perugia il 14 ottobre 2007;
  • Gabriele Sandri, ucciso da un “colpo accidentale” l'11 novembre 2007;
  • Giuseppe Uva, violentato e ucciso in caserma il 14 giugno del 2008;
  • Stefano Cucchi, ucciso durante custodia cautelare il 22 ottobre 2009.
Sono in molti a pensare che quelli appena citati siano casi isolati e che nessuno può sapere davvero come sono andate le cose. Il post non è pensato per scendere nel merito delle vicende di ognuno di questi ragazzi, ma una riflessione va fatta: Giovanardi ha affermato che la causa della morte di Cucchi è da ricercarsi nel fatto che era anoressico e tossicodipendente. Quindi se per caso chi legge è affetto da anoressia o ha una dipendenza, cerchi di non finire mai in cella per una notte, altrimenti potrebbe essere scambiato per un albanese senza dimora e rimetterci la pelle a causa di misteriosi eritemi. Giovanardi docet.

Se pensiamo alla violenza utilizzata oggi dalle istituzioni viene naturale fare un parallelo con episodi del passato che ognuno di noi ha studiato sui libri di storia. 
Ovviamente non cerco di paragonare i disordini delle piazze con i Campi di concentramento nazisti, i Gulag o i Laogai, ma vado oltre e mi pongo una domanda: perché il potere per imporsi ha bisogno di infliggere sofferenza ai cittadini? Abbiamo visto recentemente poliziotti inseguire manifestanti pacifici e colpirli in pieno volto: che bisogno avevano di terrorizzarli e far loro del male? E come mai ancora oggi Paesi apparentemente civili come ad esempio l'America permettono l'uso pesante della tortura in centri di detenzione come Abu Ghraib e Guantanamo?
E non ditemi che gli americani si sono difesi: più del 90% delle persone torturate era innocente

No, siamo di fronte all'uso della violenza da parte di poteri consapevoli. E' quella che Naomi Klein, sul cui libro Shock Economy è basato il video ospitato in questi giorni dal blog, chiama Dottrina dello Shock: per la giornalista esiste un legame tra il capitalismo e la violenza che si traduce nella percezione da parte del potere delle tragedie collettive come di opportunità economiche
Ricordate? Ne avevamo già parlato in merito all'uso di guadagnare sui disastri ambientali in ambito bancario. 
Il potere, dunque, "sfrutta la devastazione e il disorientamento per realizzare i principali obiettivi del programma neoliberale: privatizzazione della ricchezza pubblica, deregolamentazione dell’attività economica e riduzione delle spese assistenziali." (Fonte)

Se avete stima della Klein e volete approfondire attraverso le sue parole, vi consiglio di guardare il video per intero e di leggere il suo libro, di cui ho trovato il meraviglioso incipit.
Il libro si riferisce in particolare agli esperimenti condotti da alcuni psichiatri negli anni Cinquanta e Sessanta  che, basandosi su una teoria di Milton Friedman e servendosi di varie torture psicologiche e fisiche, disorientavano i pazienti e ne distruggevano le strutture psichiche per crearne altre. La stessa teoria contemplava la distruzione delle strutture economico-sociali esistenti per attuare quelle neoliberiste suddette.
Per quelli che invece non hanno fiducia nelle fonti che ho riportato fino ad ora, lasciamo che i fatti parlino da soli.

Nel 1963 fu redatto un manuale di 126 pagine, il Kubark Counterintelligence Interrogation, da e per i militari della CIA. Era uno dei testi utilizzati presso la School of the Americas, una sede di addestramento dell'esercito statunitense situata a Panama. Tra gli allievi, come ricorda Wikipedia, troviamo nomi illustri: Manuel Noriega e Omar Torrijos (Panamá), Leopoldo Galtieri e Roberto Eduardo Viola (Argentina), Hugo Banzer Suárez (Bolivia). 
Il manuale enumera una serie di tecniche utilizzate per estorcere informazioni e cita il progetto Mkultra, basato sul tentativo di controllare la mente umana e chiuso solo nel 1973. Il testo è rimasto segreto fino agli anni Novanta, mentre ora è consultabile in versione censurata.
Proprio nel 1973 hanno avuto inizio alcune delle dittature più sanguinose del Novecento: in Cile con Pinochet, in Argentina con Videla, in Gran Bretagna con la Tatcher, in Bolivia con Banzer, in Polonia con Jaruzelski, e poi in Cina, Sudafrica, Russia e infine negli Stati Uniti dell'11 settembre, data in cui è cominciata la minaccia fantasma degli attacchi terroristici i quali, come sostenuto anche da Michael Moore in Fahrenheit 9/11, sarebbero stati costruiti a tavolino per mettere la popolazione in ginocchio e poter giustificare una guerra sanguinosa come quella che ha distrutto l'Iraq.

Insomma, sarà una coincidenza, ma più guardiamo alla storia e più appare evidente il legame tra violenza psicologica e fisica per indurre all'obbedienza.
Torniamo ancora più indietro nel tempo: parliamo dei nazisti e di cosa avveniva nei campi di sterminio. La mancanza di cibo, le percosse, le torture, le camere a gas e le interminabili ore di lavori forzati sono ormai tristemente note. Ma date un'occhiata a cosa dice questo sito
"Questa malignità gratuita e deliberata aveva effetti, certo, sul piano fisico,  ma anche e soprattutto su quello psicologico: secondo Primo Levi, l’intento principale era distruggere la personalità del deportato, umiliarlo e offenderlo fino al punto di favorirne l’assuefazione, cioè l’avvio della sua trasformazione da essere umano in animale. A queste parole si possono affiancare quelle di Sergio Coalova: «La nostra personalità è ormai del tutto compromessa: la sottile perfidia dei nazisti riesce, nel breve volgere di pochi giorni, a trasformare in un branco di esseri abbrutiti coloro che avevano osato opporsi alla loro belluina violenza e alla loro arroganza di dominatori»"
E ancora:
"Il nazismo aveva ideato una vera e propria scienza della distruzione della personalità, tale da gettare l’individuo nell’angoscia più totale, riversando su ognuno l’agonia di tutti i compagni."

Cambiamo Paese, cambiamo periodo storico. Questo è un estratto dell'intervista ad un desaparecido sopravvissuto a ben cinque campi di concentramento argentini:
"A differenza dei precedenti colpi di Stato, il cosiddetto Processo (di Riorganizzazione Nazionale) non è stato una semplice accelerazione delle pratiche vigenti. E' stato il radicamento del terrore nella comunità - terrorismo di Stato - con il pretesto di eliminare la guerriglia già quasi inesistente, ma con l'obiettivo in realtà di impiantare un nuovo modello economico e sociale, congelando ogni tentativo di resistenza. 
Le deportazioni forzate e gli assassinii, che potevano colpire chiunque - un sindacalista, un dirigente studentesco, un guerrigliero, un semplice oppositore, ma anche familiari o amici di uno di loro -, insieme alle notizie che trapelavano sulle atrocità che si commettevano nei campi, installarono profondamente il terrore nel Paese. Il campo di concentramento si estendeva alla società. Il risultato è stato una comunità nella quale predomina la mancanza di impegno politico, di qualunque orientamento, e un esacerbato individualismo."

Eccoci finalmente alla chiave di volta, al nucleo del problema: indurre nei cittadini uno stato di terrore è fondamentale per l'affermazione del potere. 
Reagire con violenza ingiustificata durante manifestazioni pacifiche e convincerci di essere costantemente sotto attacco da parte di altre popolazioni o di altre culture serve a suscitare in noi un sentimento pericolosissimo: la paura. E la paura è ciò che ci rende obbedienti.
Il potere si basa sull'obbedienza. Secondo questo sito, fattori dell'obbedienza sono:
  • le informazioni
  • la paura delle sanzioni e delle ritorsioni
  • l'obbligo morale che ognuno di noi sente verso una legge, una norma o un'autorità riconosciuta
  • l'interesse personale di chi obbedisce
  • l'identificazione psicologica col governante
  • l'esistenza di zone di indifferenza per cui determinate situazioni ci lasciano "neutrali" perchè, apparentemente, non ci riguardano o coinvolgono
  • la mancanza di fiducia in se stessi e di una forte volontà
  • la tendenza ad evitare qualsiasi responsabilità
  • l'abitudine, che consolida tutti gli altri punti summenzionati.
Pensate a tutte le volte in cui, travolti dalla rabbia per l'ennesima dichiarazione offensiva di un politico, per le limitazioni imposte da una legge scritta dai ricchi per i ricchi, per un fatto di cronaca nera che vi tocca nell'intimo, vi siete trattenuti dallo scendere in piazza, dallo scrivere lettere di protesta o addirittura dal menare le mani. 
Scommetto che il motivo per cui avete desistito è contemplato nell'elenco che ho appena riportato.

Un'ultima domanda merita risposta: come mai ci sono persone che lavorano per il potere? Dal poliziotto che picchia il manifestante al torturatore del campo di sterminio, infatti, il sistema appena descritto si basa su una serie di comuni mortali che usano la violenza in tutte le sue forme giorno dopo giorno, rivolgendosi contro i propri simili per terrorizzarli e favorirne così la manipolazione da parte delle istituzioni. Come si spiega?
Una possibile risposta si trova nell'esperimento raccontato nel sito nel quale ho trovato l'elenco di cui sopra, nel quale ad un volontario veniva chiesto di torturare con delle scariche elettriche un altro soggetto legato ad una sedia nel corso di un finto interrogatorio. 
Il torturato era in realtà un attore che simulava sofferenza, ma ovviamente il torturatore non lo sapeva. Quest'ultimo seguiva gli ordini impartiti da un'altra figura che faceva parte dell'esperimento e che lo invitava ad attenersi al programma al minimo cenno di incertezza. 
Sul totale dei torturatori, solo il 40% non portava a termine l'interrogatorio: dopo le proteste iniziali, essi prendevano le distanze dalla sofferenza altrui e si concentravano sugli apparecchi a loro affidati per adempiere agli obblighi che pensavano di avere in quanto partecipanti all'esperimento. Ciò dimostra la nostra propensione a sottometterci agli ordini di chi percepiamo come autorità.

Nel bellissimo libro 1984 di George Orwell la spersonalizzazione dell'individuo, la segregazione e la tortura sono raffigurate come abituali nell'esercizio del potere. E' qui che troviamo un'altra risposta al nostro quesito:


In più ho trovato un bellissimo scritto di Sartre sul tema della tortura che forse può offrire qualche risposta in più.

Per concludere in bellezza, questa volta propongo, in luogo del consueto brano musicale, un video la cui visione è fondamentale per la comprensione di quanto scritto nel post perché raffigurazione tangibile dell'esercizio violento del potere da parte dello Stato e testimonianza di uno scandalo italiano molto recente: il massacro della scuola Diaz di Genova operato dalla polizia in occasione del G8
All'interno della struttura erano ospitati giovani provenienti da diverse parti del mondo, manifestanti pacifici sorpresi di notte nei loro sacchi a pelo e picchiati, arrestati e torturati dai poliziotti senza alcun motivo.
Consiglio inoltre la visione del film "Diaz - Non pulire questo sangue": la mia ricerca è partita da lì. Dopo aver assistito alla rappresentazione verosimile della strage, terrorizzata e confusa, una sola domanda mi riecheggiava nella testa: perché?
Purtroppo rispondere non mi ha aiutata a ritrovare la serenità.



4 commenti:

  1. Grazie Elena, una bellissima riflessione sulla dipendenza al e dal potere.

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  2. Grazie a te per aver letto l'articolo, Mauro! :D

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  3. Violenza genera violenza. Spero nella forza interiore della singole persone e in una capacità di unione e collaborazione per realizzare contromisure e strumenti efficaci che facciano prendere consapevolezza a tutti del proprio valore come persona e del tentativo di narcotizzare le menti di cui tu parli.

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  4. Il problema è proprio questo: prendere coscienza. Ma una volta fatto ci sono due problemi: innanzitutto gli sfruttati di oggi potrebbero diventare gli sfruttatori di domani come reazione alla violenza (e questo si ricollega al fatto che la violenza ne genera altra); il secondo è che è difficile imporre la propria identità e la propria dignità quando le istituzioni non sono dalla tua parte. A quel punto oltre la violenza non c'è grande scelta. O meglio, dobbiamo studiarci un modo moderno di applicare la nonviolenza.

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