martedì 2 ottobre 2012

Di tutte le ricchezze - Stefano Benni


Il 26 settembre è approdato nelle librerie il nuovo libro di Benni. L'ho sorpreso sugli scaffali qualche sera fa: spesso basta una copertina con un nome atteso per farci sorridere. E qualche sera passata a leggere per dimenticare consiglieri vergognosi, politici corrotti e tutta l'italia con la i minuscola che ci sta mangiando il futuro.

Questa volta il protagonista è un professore dal ciuffo bianco, Martin. Le avete viste le foto dell'ultimo Benni, capello bianco arruffato e svolazzante annesso? 
Il prof dice di andare per i settanta (Benni ha 64 anni) e ha voglia di raccontarsi come tutti quelli che, arrivati ad un certo punto della vita, si guardano indietro. 
Insomma, si sente che il personaggio era in punta di penna già da un pò e si ha la netta sensazione di parlare direttamente con l'autore mentre si legge.
Non è solo la cultura che i due hanno in comune a renderli così simili (le citazioni letterarie abbondano più del solito), ma anche la ritrosia di chi, pur raccontando alla perfezione ciò che lo circonda, non sente di farne parte. Forse proprio perché, comprendendone l'essenza, se ne tiene a debita distanza.

Il professore è ormai in pensione e si è trasferito in quel di Borgocornio per seguire le tracce di un poeta, Domenico Rispoli detto il Catena, su cui ha svolto ricerche approfondite. I suoi saggi su questo personaggio misterioso, morto in manicomio in circostanze oscure, hanno contribuito a rendergli un'ottima fama tra i suoi colleghi e lettori.
Martin continua ad esaminare i documenti che ha raccolto sul Catena e l'unica cosa che fa ancora con passione è scrivereInfatti, Martin è anche l'autore di versi ora divertenti e ritmati, ora riflessivi, pacati o arrabbiati posti all'inizio di ogni capitolo, quasi come un rito ipnotico prima del racconto. 
Essi fanno da ponte con la realtà, come quando parlano dei complici, cioè quelli che passano la vita ad assecondare un padrone potente senza farsi importunare dai propri principi morali, sempre che ne abbiano ("gli prestano il coltello e ripuliscono il sangue").
Ad affiancarlo occasionalmente nella solitudine: un coetaneo che si è fermato al '68, fuma maria e indossa ancora pantaloni scampanati e gilé di cuoio meritandosi il soprannome di Vudstok, il conformismo e la chiusura dei paesani, che pur abitando sugli Appennini adottano un improbabile accento romano e l'odioso e ignorante collega Remorus. 
Benni non molla il tema a lui caro della decadenza della società moderna e anzi lo insegue e lo sviluppa dall'alto dei suoi sessanta-quasi-settant'anni, con un pizzico di alterigia che ben si addice ad un uomo della sua età.
C'è chi può. E Benni può.

La grande protagonista insieme al professore è la natura, rappresentata dai suoi inquilini, gli animali, coi quali Martin parla ogni giorno. Gli offrono consigli, lo prendono in giro e in generale alleviano la solitudine dell'uomo solo e con un figlio lontano chilometri.
Il ruolo migliore è affidato al cane, il terranova Ombra, di cui conosciamo non solo i pensieri, ma anche gli atteggiamenti tipicamente canini attraverso i quali non smette mai di comunicare e che obbediscono ad un regolamento preciso: il dodecalogo del cane
Ho apprezzato particolarmente il quarto comandamento, quello che recita "chi ti abbandona non ti merita".
Significativa in questo contesto è la descrizione della caccia, attività tipica degli abitanti del posto. Martin sembra accettarla, ma di fatto non smette mai di ridicolizzarla: prima insinuando che il nome del paese dipenda dal modo in cui le mogli dei cacciatori collaudano i letti quando i mariti non ci sono, poi descrivendo la vendetta di un cinghiale impagliato che si stacca dal muro del ristorante dove è stato appeso per ammazzare il cuoco che si vanta della sua uccisione.
Visionario si, sanguinario no: Benni la scena la fa solo sognare al professore addormentato, ma rende comunque l'idea.

Dunque, Martin è un uomo dotto che combatte contro la solitudine ascoltando musica dal lettore Mp3 ribattezzato Umbertofono dal nome di suo figlio che glielo ha regalato. E' l'inventore di ricette che chiunque viva da solo ha sperimentato almeno una volta, come il Vitello alla Ricordati-di-me, il cui ingrediente principale è la memoria: se lo si dimentica sul fuoco diventa vitel tonné, cioè va sostituito con una scatoletta di tonno.
E soprattutto, Martin non può rinnegare ciò che è stato: un tombeur de femme che si è innamorato una sola volta nella vita e che conserva un ricordo doloroso dentro di sé, in attesa che un'anima gentile possa liberarlo dal rimorso. L'anima gentile arriva: ha capelli biondi e occhi azzurri e risponde al nome di Michelle.
Non che sia un essere etereo: ha i suoi bei problemi col compagno Aldo, insieme al quale si trasferisce in una casa vicina a quella del professore per sfuggire dalla città. I due rappresentano le generazioni di giovani che soffrono per le mille incertezze lavorative, artisti o presunti tali che oggi più di ieri si aggrappano alle occasioni per costruirsi un futuro e che spesso si devono abbassare a compromessi sporchi per un giorno di speranza in più.
Michelle ha bisogno di essere ascoltata e Martin, di ascoltarla. Oltre ad assomigliare alla ragazza che, secondo una leggenda del borgo, si è suicidata in un lago vicino, Michelle colpisce il professore per un'altra somiglianza con una persona importante per lui, cosa che farà abbassare le sue difese davanti al fascino di lei e che riporterà a galla il passato.

No, non se la porta a letto.

Di tutte le ricchezze che il loro incontro offrirà, l'ultima è un valzer con la vita, che trascinerà Martin ad una festa alla quale da solo non sarebbe andato e in discorsi che non aveva più le energie e la lucidità di affrontare. Grazie a Michelle, l'uomo di un tempo balla su una pista nuova, eppure costellata di ricordi: in lei rivede ciò che è stato e trova il coraggio di accettarsi per ciò che è.
I centauri del bar Marlon (e figurati se non c'era un bar da qualche parte del libro), la discoteca Bully con tutta la droga che ci gira, la strage degli animali inseguiti da cacciatori ottusi perdono, a questo punto, l'importanza dei temi centrali. Avrebbero potuto averla in libri come Margherita dolcevita o L'ultima lacrimaNon stavolta: si riducono ad un bisbiglio coperto dalla musica in tre quarti e nel cerchio di luce, alla fine del valzer, il ballerino rimane solo
Il buio intorno e un terranova affianco.

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