lunedì 1 ottobre 2012

Reality


Uscito tre giorni fa nelle sale, Reality è il nuovo film di Matteo Garrone, il regista di Gomorra. Il cast è d'eccezione: Loredana Simioli, Nando Paone, Nello Iorio, Graziella Marina... ma soprattutto Aniello Arena nei panni del protagonista Luciano Ciotola, napoletano umile e non troppo onesto.
Non è mai stata una Napoli pulita, quella di Garrone: siamo lontani dai personaggi tutto d'un pezzo alla Eduardo, ma anche dalla faciloneria del tifoso. Finalmente, infatti, la città campana non è associata al calcio, ma ad un'altra parabola tutta italiana: la televisione. 
Più precisamente è la notorietà che ne deriva ad affascinare non solo Luciano, ma tutta la sua numerosa famiglia: con sua moglie e i tre figli, vive in un palazzo antico insieme a madre, zii, zie, cugini e nipoti. Ha una pescheria grazie alla quale sopravvive, mentre la moglie lavora per una ditta di elettrodomestici che i due trovano il modo di truffare regolarmente per sbarcare il lunario. 
Storie di ordinaria povertà: il napoletano diventa una sintesi dell'italiano medio, con vestiti luccicanti di pessima qualità, una casa che cade praticamente a pezzi ma arredata con una serie di oggetti kitch che vorrebbero rievocare un finto lusso, amicizie tanto ostentate quanto superficiali.
Non passa giorno che Luciano non venga invitato al bar per un caffé, tutti si chiamano per nome e il barista lo tratta come fosse suo fratello. Di fondo, comunque, c'è un affetto sincero e grande solidarietà tra gli abitanti del quartiere e nonostante l'atteggiamento da piccolo mafioso che adotta durante le truffe, Luciano tiene molto alla famiglia ed è profondamente innamorato di sua moglie Maria. Quest'ultima gli rimarrà sempre accanto, prima minacciando di lasciarlo, poi andandosene in preda alla rabbia e infine ritornando sui suoi passi nel tentativo di aiutare l'uomo che ama.
Il quadro generale, inserito nella cornice suggestiva della Napoli antica e fedele alla tradizione, dà l'idea di un presepe vivente che potrebbe uscire dalla penna di un De Simone moderno. Una delle differenze sostanziali con lo scrittore del passato sarebbe sicuramente l'onnipresenza della televisione nella sua rappresentazione più grottesca: un reality, appunto, ovvero il famoso Grande Fratello. Uno dei protagonisti, Enzo, viene acclamato e invidiato fin dalle prime scene del film, appare a metà tra un imbonitore ed un imprenditore ed è pagato per il suo unico prodotto: sé stesso, o meglio la sua immagine di ex inquilino di una casa zeppa di telecamere dove l'unica attività possibile è quella dell'ozio condito coi soliti inciuci che tanto attirano gli italiani.
Lo sguardo di Luciano si sofferma affascinato su una realtà che regala una dignità fittizia per la quale non servono né capacità sostanziali, né sforzi particolari: mano a mano che si convince di poterne fare parte, lo stesso sguardo diventa eccitato, poi guardingo, paranoico e infine delirante.
La scintilla è il provino per la scelta dei nuovi partecipanti al programma: le figlie e le zie insistono per farglielo sostenere, anche se si svolge mentre lui sta lavorando. 
In seguito, una telefonata lo avvisa che ha passato il primo turno e che può partecipare ad una seconda selezione negli studi televisivi romani. Durante il colloquio davanti allo staff del reality e ad uno psicologo, Luciano mette sul tavolo tutto quello che ha: il suo vissuto, la sua sincerità di persona modesta e credulona, la sua simpatia da giullare familiare consumato.
Convinto di aver fatto colpo, comincia ad aspettare la telefonata decisiva e intanto pensa di essere spiato e di dover dimostrare di essere degno di meritare l'ingresso nella casa. I suoi atteggiamenti cambiano radicalmente: comincia a regalare le sue cose ai poveri della zona, vende la pescheria per ristrutturare il suo appartamento nel caso in cui debba sostenere una intervista e si allontana sempre di più da ciò che è realmente, recitando come se fosse perennemente di fronte ad un obiettivo.
Inizialmente ripete alla moglie spaventata che la famiglia deve accettare i cambiamenti per giocarsi una carta importante: 
"Meri, ma tu ti rendi conto di che significa? Noi ci sistemiamo per la vita! E glià Meri, non mi abbandonare proprio adesso!". 
Nel corso della storia, però, Luciano non può più mentire e non ci prova nemmeno: la ragione della sua ossessione è sé stesso, la sua vita, tutto ciò che non lo soddisfa e che vorrebbe migliorare.
La famiglia si divide tra chi continua a sostenerlo e lo incita a continuare a crederci anche se la telefonata non arriva e chi lo prende in giro, ma nessuno capisce davvero cosa succede nella sua testa, nessuno ammetterà che ha un problema grave da risolvere. Si parla di depressione, di colpo da Grande Fratello, Maria non ammette che il marito stia consultando uno psicologo e parla di dottori e medicine. In una maniera tipicamente italiana il suo dramma viene aggirato e affrontato proprio attraverso la sua ossessione: meglio continuare a parlare del programma, lasciarlo solo davanti ad uno schermo sintonizzato sempre sulla casa, piuttosto che cercare una soluzione.
Luciano impara a memoria ogni angolo della casa e osserva ogni movimento dei suoi inquilini. Sostiene di essere stato copiato nei movimenti, nei modi di fare e cerca di riprodurre quell'ambiente nel suo appartamento, ormai svuotato dopo le incursioni degli indigenti del quartiere.
L'unico rimedio che gli viene proposto è forse peggio del problema: la religiosità spinta alla cieca obbedienza e alla partecipazione a gruppi religiosi, mense dei poveri e cerimonie giornaliere alle quali si sottopone a capo chino. Il suo equilibrio è ormai compromesso e ciò che lo circonda non riesce nemmeno a scalfire il mondo che si è creato nella testa.
Aniello Arena, col suo fisico da napoletano palestrato, incarna perfettamente il suo personaggio, evidenziando con mille espressioni e grande precisione tutte le tappe che portano Luciano alla perdita della lucidità. Interpretazioni tra lo struggente e il pittoresco per gli altri attori, ben contestualizzate nella mentalità italiana del non è successo niente e del tiriamo a campare. Il dialetto napoletano è il principe del film e per fortuna ci sono i sottotitoli per i profani!
Garrone si conferma come uno dei migliori registi italiani in circolazione e riesce nel tentativo di raccontare una realtà tra la miseria dignitosa e piena di vita della Napoli antica da commedia dell'arte e le contraddizioni di una modernità che di dignità ne ha ben poca.
Napoli, città maltrattata e fraintesa, si conferma ancora una volta come estrema sintesi della bellezza malata dell'Italia: è una principessa decaduta che non può fare a meno, tra gli stracci, di mostrare il volto tipico di una splendida regina.

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