mercoledì 10 ottobre 2012

L'imprevedibile viaggio di Harold Fry

Il titolo, oltre a suscitare curiosità, risulta particolarmente azzeccato: di imprevedibile in questo viaggio c'è molto, inizio a parte.

Siamo nella tranquilla cittadina inglese di Kingsbridge, in casa di una inglesissima coppia di anziani. Entrando, ci colpisce l'immagine di un uomo rassegnato, Harold, che subisce l'acidità della moglie Maureen come se non avesse mai smesso di rimproverarlo. Un matrimonio normale, direbbero alcuni. Ma una lettera inattesa apre uno squarcio nel vissuto quotidiano: Queenie, amica di vecchia data di Harold, gli annuncia di avere il cancro e lo ringrazia della sua amicizia. Gli sta dicendo addio: è talmente evidente che lui scoppia a piangere, rivelandosi in tutta la sua debolezza e sensibilità. 
Tenta di risponderle con qualche frase di circostanza: l'amica lo ha fatto sentire in colpa perché non l'ha cercata in tanti anni di lontananza e lui è deluso, arrabbiato, addolorato. Maureen mormora che le dispiace, torna a sbrigare le sue faccende e lo accompagna borbottando alla porta quando lui va ad imbucare la lettera.
Harold ha fame e si ferma a mangiare un hamburger. Scambia due parole con la ragazza che lo serve, piuttosto insulsa e dall'aria stupida. Le parla di Queenie con ingenuità disarmante e lei gli parla di una sua zia, anche lei colpita dal cancro. Gli dice che l'unica possibilità è nella fede, ma non in senso religioso: bisogna credere di poter fare la differenza, perché sono tante le capacità che non sappiamo di avere. 
Uscendo dal fast food, Harold non riesce a smettere di pensare alla sua responsabilità nei confronti della malata e comincia pian piano a convincersi di poter fare qualcosa di concreto per lei. Evita di imbucare la lettera alla prima occasione, poi alla seconda, alla terza. Continua a camminare. Ad un tratto, fa una promessa: "finché camminerò, lei vivrà".
Non si può pensare che Harold creda davvero in un patto con Queenie, né che effettivamente una cameriera sia riuscita a trasmettergli una forza simile. Perché Harold è ancora l'uomo remissivo, debole e ingenuo che abbiamo conosciuto all'inizio. Eppure sostituisce il biglietto destinato all'amica con uno in cui le chiede di attenderlo finché non arriverà e dopo chiama la moglie per dirle che è partito. Maureen si infuria, protesta, ma non può impedirglielo.
Rimarrà a casa a fissare il telefono e ad aspettare le cartoline che la informano dei suoi progressi, ma soprattutto a riflettere.

Si, perché non bisogna farsi ingannare: la copertina è molto spiritosa, lo stile è scorrevole, la storia è piena di avventure, ma riuscire a star dietro ad Harold è molto difficile. 
Con un nome adatto più ad un cartone animato che ad un uomo della sua fragilità, Harold suscita tenerezza in chi lo incrocia e a volte viene deriso per il suo progetto, ma non è un semplice credulone. E' un uomo disperato in cui qualcosa è esploso vent'anni prima, distruggendo quel poco di serenità che era riuscito a conquistare dopo un'adolescenza difficile, terminata bruscamente quando il padre lo ha messo alla porta, all'età di 16 anni. 
La sua vita, più che affiancarlo nel cammino, lo insegue. La parte più facile è proprio camminare, mentre sono i ricordi a trafiggergli i piedi ed incurvargli le spalle. La sua onestà intellettuale e la sua nuova coscienza, costruita giorno dopo giorno e un piede avanti all'altro, sottolinea i suoi limiti e glieli agita sotto il naso, chiedendogli di superarli. 

Ogni tappa del suo viaggio lo porta ad una conquista. 
Innanzitutto riacquista il suo rapporto con la terra, che gli ha dato la vita e non ha mai smesso di mostrarsi in tutta la sua bellezza e la sua generosità. Da subito, infatti, Harold e la natura sembrano vivere in simbiosi: cieli infiammati dal sole dell'alba per la sua meraviglia, oceani di fiori per i pensieri che hanno bisogno di più spazio, nuvole di un grigio tagliente per i ricordi dolorosi, pioggia battente per un senso di abbandono e smarrimento che non lo lascia mai.
Il primo a dimostrargli di non essere all'altezza è il corpo: talloni induriti, dolori lancinanti ai polpacci e lividi accompagnano i bisogni più comuni, quelli che ci spingono a rifugiarci in casa, sotto un ombrello, fra i lembi di un cappotto. Harold rinuncia ad ogni protezione e accetta il dolore fisico, portandolo con sé come un compagno di viaggio, il più fedele. 
Il secondo grosso limite è la solitudine: la avverte come una colpa che gli altri gli hanno inflitto per la sua inadeguatezza e si rimprovera di continuo per la sua mancanza di carattere, con la quale giustifica la carenza di affetto nei suoi confronti da parte di persone importanti come sua madre. 
Ma continua a camminare, obbedendo ad un impulso fortissimo e scopre di avere una grande virtù: quella di saper ascoltare. Sono tante le storie che Harold ascolta durante il viaggio e le persone che riesce ad aiutare per il solo fatto di aver preso una decisione così grande, proprio lui che ha paura di disturbare con un rumore di troppo o una parola inopportuna, lui che ha passato la vita a tenere la testa bassa e ad evitare qualsiasi contatto fisico con gli altri. Anche la sua attitudine a passare inosservato si trasforma in un punto di forza: le persone vedono in lui la loro stessa fragilità e si abbandonano al dialogo.
Il contatto con gli altri, improvvisamente così intimo, diventa totale quando un gruppo di proseliti comincia a seguirlo e a trattarlo come fosse il loro guru. Sono persone altrettanto disperate che non hanno la forza di mettersi in cammino da sole e hanno bisogno di qualcuno che le guidi, ma senza condividerne completamente gli intenti; tra loro, alcuni manipoleranno Harold per i loro interessi, altri semplicemente lo abbandoneranno, facendogli rivivere i momenti più dolorosi della sua esistenza.
La semplicità di Harold impone un cambiamento anche in Maureen, che si era abituata ad addossargli le colpe di tutta una vita e ora, davanti alla sua presa di coscienza, deve rassegnarsi a deporre le armi e a mettersi in cammino pur rimanendo a casa. Guardarsi indietro significherà trovare la forza di andare avanti, soprattutto per il bene del marito, che la sta aspettando per l'ultima tappa, la più difficile.
Alla fine del suo viaggio, Harold deve affrontare il suo limite più grande: l'impotenza. Ha capito di essere mortale, fragile, limitato, inadeguato, ma non ha smesso di camminare perché pensava, in questo modo, di esercitare un potere sulla vita. Anche la sua ultima certezza, però, verrà messa in discussione per sempre.

Dunque, un bel libro. Non bellissimo: la parte centrale si concentra unicamente sulle emozioni dei personaggi e sulla loro evoluzione psicologica. Le loro vite si rivelano ai nostri occhi come carte da gioco: un ricordo dopo l'altro scivola lentamente nelle mani del giocatore di poker, lasciandoci in attesa della prossima carta, del prossimo pezzo del puzzle. Poi, improvvisamente, verso la fine la storia mette il turbo e siamo sopraffatti da una valanga di novità: neanche un americano avrebbe dato spazio a tanti colpi di scena. E pensare che la Joyce è inglese.
Di sicuro l'autrice o chi per lei ha fatto un lavoro di promozione molto valido: la copertina è vivace e giovanile, al punto da far pensare ad un libro per ragazzi, la storia è curiosa e avvincente, i personaggi sono credibili e le emozioni sono descritte con acume e sensibilità. 
La natura è forse un pò troppo presente: le descrizioni del panorama abbondano e verso la fine diventano un pò stancanti. 
Harold è su twitter, su facebook e in radio, ne hanno parlato persino alla BBC. Figuratevi che, quando ho acquistato il libro, mi è stata regalata una shopper di tela con la stampa del percorso di Harold!
Insomma, ha tutta l'aria di un best seller e noi glielo auguriamo.

Harold si è lasciato morire per vent'anni, stanco di soffrire. Ma quando un'amica sincera, forse l'unica che abbia mai avuto, gli scrive per dirgli addio, lui si ritrova a camminare da un capo all'altro dell'Inghilterra con un paio di scarpe da vela ai piedi. Insieme a lui comprendiamo il dovere di essere indifesi di fronte alla vita, di accettare il male che ci dà e di lasciarci amare da lei. Follemente.

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2 commenti:

  1. E' una bella recensione, molto sentita e coinvolgente. Un invito alla lettura molto efficace.

    Mi fa venire alla mente un'altra storia (purtroppo vera). Si ammalò di cancro un professore. Chiese alla famiglia di nascondere a tutti la malattia, e continuò ad insegnare come se nulla fosse, senza avvertire nè gli studenti nè il Preside della sua morte imminente. Nulla fu detto neanche ai parenti più stretti (aveva un fratello e una sorella). Quando entrò nella fase terminale, nel periodo della morfina e degli antidolorifici in vena (non poteva più neanche alzarsi dal letto), inviò una lettera al Preside comunicandogli la situazione e chiedendogli il massimo riserbo con gli studenti. Nella lettera al Preside annunciava una futura missiva con la data del funerale, e l'invito a parteciparvi che veniva esteso anche agli studenti (con i quali aveva avuto sempre un rapporto molto stretto). Nell'ultima settimana di vita si decise finalmente ad avvisare i parenti, chiamandoli al capezzale in extremis per l'ultimo saluto. Il fratello gli chiese come mai non avesse voluto avvisarlo prima. La risposta fu che se avesse avvisato i parenti, gli amici e gli studenti, l'ultimo anno della sua vita lo avrebbe passato fra persone in lacrime, dalle facce tristi, perennemente impegnati a chiedergli come si sentisse, eccetera. Invece lui voleva passare gli ultimi mesi della sua vita solo con la sua famiglia, alla quale aveva dedicato troppo poco tempo per via dell'insegnamento, un tempo che ora l'assenza dal lavoro gli concedeva. L'ultima settimana era più che sufficiente per il congedo dai fratelli, dai parenti e dagli amici. Non era credente, e forse per i non-credenti la morte è un pò più difficile da affrontare, ma lui non si lamentò mai, non mostrò mai paura. Ai funerali c'era tantissima gente, aveva dedicato veramente tutta la sua vita all'insegnamento ed era un pò come se i suoi studenti vedessero in lui un padre che li aveva fatti appassionare ad una materia, indirizzati negli studi e nelle scelte di vita. Insomma un'approccio alla malattia ed alla morte diverso da quello esposto nel libro. Un approccio non "più valido" ma semplicemente "diverso".

    Carlo Orosei

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  2. Una persona ammirevole, anche se la parola suona vuota in confronto a quello che ha dimostrato.
    Mia zia è morta di cancro qualche mese fa. Purtroppo la sua agonia è durata molto di più: pensava di aver sconfitto la malattia, ma poi si è ripresentata in varie forme. Ha combattuto per sei anni, sempre col sorriso sulle labbra e per me è rimasto un grande esempio di vita. Forse è per questo che ho letto il libro come se al posto di Harold ci fossi stata io.
    Ora mia zia cammina con me.

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