mercoledì 27 marzo 2013

Il Seggio Vacante


Questo è un libro cattivo.
Non un cattivo libro, attenzione: mi riferisco a quanto la negatività che naviga tra una pagina e l’altra si appiccichi alle dita, salga su per le braccia e arrivi inesorabilmente al cervello, innescando una serie di pensieri al vetriolo non proprio indicati per uno che c’ha già i problemi suoi. E ci si ritrova a chiuderlo ogni tanto tenendo un dito a fare il palo tra il già letto e l’ignoto per fissare la copertina in una muta protesta: ma io che ti ho fatto? Ma soprattutto: che si è fatta l’autrice di Harry Potter per arrivare a tali vette di disprezzo per l’umanità?
Si, perché la bionda che vi guarda da uno dei risvolti della nuova, luccicante edizione che avete acquistato con le migliori intenzioni è proprio lei, l’ideatrice del mago più famoso dopo Merlino, quella che si è inventata la figata delle scale vagabonde nella scuola per maghi e streghe: J.K. Rowling. Evidentemente la signora sta cercando di togliersi di dosso l’etichetta di scrittrice per ragazzi: niente magia né voli di fantasia, nemmeno un po’ di atmosfera; come se invece di farsi una lavata di faccia per cancellarsi la scritta Harry Potter dalla fronte abbia immerso il viso nell’acido citrico lasciando la carne viva a reclamare attenzione.

Abbiamo una cittadina piccola e provinciale, Pagford, in cui tutto sembra essere deciso da un onnipotente e onnipresente Consiglio.
Tanto per cominciare, i fiori nella piazza principale della città, sulla quale affaccia la salumeria di Howard, uno degli uomini più influenti del posto, e di Maureen, tanto magra e raggrinzita quanto lui è grasso e presuntuoso, con una uguale e più che condivisa passione per il pettegolezzo. Shirley, fedele consorte di Howard, coltiva la convinzione che gestire il ridicolo sito della città e soprassedere alle riunioni del Consiglio faccia di lei una sorta di vate universale, sacro e giusto per definizione. 
Parminder, medico generico e acerrima avversaria di Howard, sembra vivere al solo scopo di ostacolarlo. Sempre all’interno del Consiglio, si capisce. L’irascibile e disonesto Simon si convince che entrare a far parte della giunta equivalga a guadagnare una barca di soldi in mazzette, manco si parlasse della presidenza degli Stati Uniti. O dell’Italia. No, per dire.

Persino i personaggi che col Consiglio non vogliono avere a che fare perché hanno già i guai loro finiscono per subirne il cosiddetto fascino.
Tessa, psicologa della scuola e moglie del preside Colin, fa fatica a fronteggiare gli attacchi di ansia del marito, che peggiorano quando lui decide di candidarsi come nuovo consigliere. Ruth, terrorizzata dalle esplosioni di ira del marito Simon, non riesce a fare a meno di appoggiarlo nella sua campagna elettorale e cerca di convincersi che l’uomo che picchia i suoi figli sia meno disgustoso di quanto non risulti. 
Infine Terri, eroinomane che a Pagford non vuole tornare per non doversi ricordare un’infanzia costellata di abusi e violenze, sarà costretta a farlo per continuare a ricevere il metadone della sua terapia: la chiusura del centro per tossicodipendenti di Bellchapel aleggia per tutta la lunghezza del libro sugli abitanti dei Fields, il quartiere malfamato a metà tra Pagford e Yarvil, la città vicina. La giunta vorrebbe scaricare su quest’ultima la responsabilità del risanamento come compensazione di una espansione sociale e commerciale che evidentemente a Pagford non ci sarà mai.

Tra le vittime del Consiglio troviamo anche gli adolescenti, che cercano vendetta per una situazione insostenibile e si limitano a tappezzare il sito della città con messaggi carichi di scomode verità, con conseguenze disastrose e a catena.
C’è anche chi prova a fare a botte per marcare il territorio, come Kristal, la figlia di Terri, che mentre si affanna a fare da madre al fratellino Robbie e a nascondere le siringhe agli occhi degli assistenti sociali trova anche il tempo di minacciare la fragilissima Sukhvinder, la figlia che Parminder preferirebbe non avere.

Tra i ragazzi spicca sicuramente Stuart detto Ciccio, sempre teso nel tentativo di dimostrare la sua superiorità, alla ricerca nei suoi atteggiamenti di tracce di inautenticità, come lui stesso la chiama. 
Dopo un po’ si capisce che per Stuart l’autenticità risiede negli istinti primordiali dell’uomo, principalmente nella violenza e nella capacità di prevaricazione, che hanno effetti distruttivi e in qualche modo purificanti. Ciccio non è un cattivo ragazzo e soffre nell’infierire sulle persone, ma cerca in questo modo di esorcizzare la stessa debolezza che vede nei suoi genitori Tessa e Colin, debolezza che lo terrorizza e dalla quale tenta di prendere le distanze. Non a caso una delle sue vittime preferite è ancora una volta Sukhvinder, che similmente cerca nel dolore fisico una purificazione dal senso di inadeguatezza che si porta addosso e che le viene trasmesso, anche nel suo caso, dai suoi genitori.
Per contrasto, la personalità più timida ma più responsabile di Andrew deve fronteggiare la violenza fisica del padre Simon, cosa che lo costringe a crescere molto più velocemente rispetto agli altri e non gli permette di perdersi in dissertazioni filosofiche sul senso dell’autenticità: la cosa importante per lui è sopravvivere in casa sua. La sua amicizia con Stuart, benché forte e datata, finirà proprio a causa di questa differenza essenziale.

Ci sono poi dei personaggi che sembrano non avere altra funzione se non quella di essere manipolati da quelli più forti e decisivi a causa della debolezza, della stupidità e dell’egoismo che li contraddistingue.
Miles pende dalle labbra del padre Howard e si bea dell’incondizionata ammirazione di Shirley. Samantha assiste alle idiozie di Miles chiudendosi nel suo mondo sdegnoso e fingendo di innamorarsi di un cantante pop per bimbe minchia. 
Gavin, un omuncolo con la forza di volontà di un lombrico, fugge da Kay per non doverle dire di non averla mai amata. Kay cambia lavoro sradicando una figlia adolescente da Londra per seguire un uomo, Gavin appunto, per il quale il suo sacrificio significa solo un passo verso la perdita della sua autonomia, della quale peraltro non sa che farsi. 
Mary passa il libro a fare la vedova inconsolabile quando l’unica cosa che sa ricordare del marito è il tempo che ha sottratto alla sua famiglia per dare una vita migliore agli abitanti dei Fields, provocandosi così (sempre secondo lei) un aneurisma.

Catalizzatore di qualsiasi situazione, miccia incendiaria di tutte le guerre, tragedia madre di tutte le tragedie e pettegolezzo padre dei pettegolezzi, insomma, centro di gravità dell’intero libro è Barry Fairbrother.
Il rispetto o l’avversione nei confronti suoi e delle sue idee diventano il pretesto per questioni di principio, beghe familiari, bugie e tradimenti. E’ col suo nome che i ragazzi firmano gli appelli lasciati sul sito ed è la sua memoria ad essere totalmente strumentalizzata: come un Gesù Cristo de’ noantri, Fairbrother viene crocifisso e portato in trionfo da chiunque abbia qualcosa da recriminare al prossimo, cioè tutti, lasciandosi dietro una scia di morti e feriti.
Mamme addolorate per i figli diventati degli estranei, figli delusi dal comportamento vigliacco e insensato dei genitori, padri troppo infantili per non prendere il comportamento dei figli come un affronto personale da far pagare caro: perdite e allontanamenti segnano le tappe di questo percorso e i funerali marcano sia l’inizio, sia la fine della storia.

Ciò che avviene nel mezzo è un caos di uomini e donne senza scopo né direzione, che hanno bisogno di dichiararsi incompresi e soli davanti al mondo per riconquistare un po’ di dignità. Una umanità incapace composta da gente che non ama il proprio lavoro e lo fa nel modo peggiore possibile: psicologi e assistenti sociali troppo impegnati e distratti per risultare utili a qualcuno, amministratori del bene pubblico dalla mente ottusa e dall’ego smisurato, mezze seghe che per procurarsi un’identità hanno bisogno di picchiare un bambino, violentare una ragazza, farsi di eroina e costruirsi una maschera sprezzante sotto la quale nascondersi, come un tappeto coi cocci dei sentimenti propri e altrui, inutili in questa giostra di continue prevaricazioni.

Era meglio morire da piccoli.
A confermarlo, lo stile della Rowling non fa che appesantire ulteriormente i toni con parentesi lunghe chilometri e una certa ossessione per i particolari: sarà poi tanto utile sapere com’è vestito il rappresentante di reggiseni che non riesce a venderne nemmeno uno a Samantha, il cui negozio viene nominato si e no due volte in tutto il libro e alla quale il tipo non piace nemmeno?
I personaggi, inoltre, sono tratteggiati in maniera ridicola: i cattivi lo sono senza sfumature, come i cartoni animati, mentre quelli che potrebbero essere dei surrogati di brave persone sono sopraffatti dal dolore e non riescono a reagirvi se non con nuovi atti di violenza e aggressione. Così il buono, quello che ci stava un po’ simpatico, già è passato dall’altra parte e bisogna ricominciare a farsi piacere qualcuno.
Quando poi quelli decenti vengono meno definitivamente, sorge spontanea una domanda: ma perché uno dovrebbe rassegnarsi a vivere in questo modo? Stanno tutti male, non se ne salva nemmeno uno, sono tutti bastardi e corrotti, neanche tutte le tragedie e gli scandali che hanno subito sono serviti a qualcosa. Ebbene perché il famoso, preziosissimo Consiglio non approva un bel Decreto per il suicidio di massa?
Scrivo alla Rowling e vi faccio sapere che mi dice. Così le chiedo pure se è già in analisi o ha bisogno di un invito scritto.

Ascolto consigliato:


martedì 12 febbraio 2013

Terrorismo di Stato

Durante una crisi economica e politica, l'ultima cosa di cui avevamo bisogno era assistere alle dimissioni di un importante capo spirituale come il Papa: l'ennesimo abbandono da parte di un uomo percepito come una guida da tante persone in tutto il mondo. 
Ciò conferma la sensazione che il nostro periodo storico non sia difficile perché mancano i soldi o perché la morale è andata a farsi benedire: il vero problema è nell'assenza di istituzioni e guide per il popolo, che si ritrova solo ad affrontare ciò che di più triste c'è nella vita di un individuo, ovvero la perdita dei punti di riferimento. D'altra parte forse il senso di smarrimento è l'unica cosa che giustifica le correnti apocalittiche del momento, tra profezie e misteri religiosi incentrati sulla fine del mondo che, come al solito, è vicina.

Poiché uno Stato non può governare serenamente se il popolo si sente abbandonato e messo da parte, verrebbe da aspettarsi un tentativo di riavvicinamento della politica ai cittadini, soprattutto a quelli appartenenti alle fasce più deboli, non fosse altro che siamo in campagna elettorale e proprio ora, dopo seicento anni, ci ritroviamo senza Papa. 
Invece no, sembra ce la stiano mettendo tutta per farsi odiare: dagli scandali bancari a sinistra alle false promesse a destra, a tecnici che si ricordano di abbassare le tasse quando non sono più al governo, fino alle piazze, dove la gente comincia finalmente ad arrabbiarsi e riceve, neanche a farlo apposta, una carica di mattonate fra i denti. 
Basandoci su fatti di cronaca anche molto recenti appare infatti evidente che, in occasione di una crisi, l'unica contromisura adottata sia la repressione di ogni protesta, anche e soprattutto con metodi discutibili. C'è chi se ne occupa già da un pò. 

Si dirà: in molti casi sono i manifestanti a cercarsela, la polizia è tenuta a contenere la violenza e la politica non può che condannarne l'uso. 
Ci sono però dei casi eclatanti che hanno fatto molto discutere; solo per citare Anarchopedia (che su questi temi è particolarmente attendibile): 
  • Marcello Lonzi, ucciso nel carcere di Livorno l'11 luglio 2003;
  • Federico Aldrovandi, assassinato il 25 settembre 2005;
  • Riccardo Rasman, morto a Trieste il 27 ottobre 2006;
  • Aldo Bianzino, trovato morto nel carcere di Perugia il 14 ottobre 2007;
  • Gabriele Sandri, ucciso da un “colpo accidentale” l'11 novembre 2007;
  • Giuseppe Uva, violentato e ucciso in caserma il 14 giugno del 2008;
  • Stefano Cucchi, ucciso durante custodia cautelare il 22 ottobre 2009.
Sono in molti a pensare che quelli appena citati siano casi isolati e che nessuno può sapere davvero come sono andate le cose. Il post non è pensato per scendere nel merito delle vicende di ognuno di questi ragazzi, ma una riflessione va fatta: Giovanardi ha affermato che la causa della morte di Cucchi è da ricercarsi nel fatto che era anoressico e tossicodipendente. Quindi se per caso chi legge è affetto da anoressia o ha una dipendenza, cerchi di non finire mai in cella per una notte, altrimenti potrebbe essere scambiato per un albanese senza dimora e rimetterci la pelle a causa di misteriosi eritemi. Giovanardi docet.

Se pensiamo alla violenza utilizzata oggi dalle istituzioni viene naturale fare un parallelo con episodi del passato che ognuno di noi ha studiato sui libri di storia. 
Ovviamente non cerco di paragonare i disordini delle piazze con i Campi di concentramento nazisti, i Gulag o i Laogai, ma vado oltre e mi pongo una domanda: perché il potere per imporsi ha bisogno di infliggere sofferenza ai cittadini? Abbiamo visto recentemente poliziotti inseguire manifestanti pacifici e colpirli in pieno volto: che bisogno avevano di terrorizzarli e far loro del male? E come mai ancora oggi Paesi apparentemente civili come ad esempio l'America permettono l'uso pesante della tortura in centri di detenzione come Abu Ghraib e Guantanamo?
E non ditemi che gli americani si sono difesi: più del 90% delle persone torturate era innocente

No, siamo di fronte all'uso della violenza da parte di poteri consapevoli. E' quella che Naomi Klein, sul cui libro Shock Economy è basato il video ospitato in questi giorni dal blog, chiama Dottrina dello Shock: per la giornalista esiste un legame tra il capitalismo e la violenza che si traduce nella percezione da parte del potere delle tragedie collettive come di opportunità economiche
Ricordate? Ne avevamo già parlato in merito all'uso di guadagnare sui disastri ambientali in ambito bancario. 
Il potere, dunque, "sfrutta la devastazione e il disorientamento per realizzare i principali obiettivi del programma neoliberale: privatizzazione della ricchezza pubblica, deregolamentazione dell’attività economica e riduzione delle spese assistenziali." (Fonte)

Se avete stima della Klein e volete approfondire attraverso le sue parole, vi consiglio di guardare il video per intero e di leggere il suo libro, di cui ho trovato il meraviglioso incipit.
Il libro si riferisce in particolare agli esperimenti condotti da alcuni psichiatri negli anni Cinquanta e Sessanta  che, basandosi su una teoria di Milton Friedman e servendosi di varie torture psicologiche e fisiche, disorientavano i pazienti e ne distruggevano le strutture psichiche per crearne altre. La stessa teoria contemplava la distruzione delle strutture economico-sociali esistenti per attuare quelle neoliberiste suddette.
Per quelli che invece non hanno fiducia nelle fonti che ho riportato fino ad ora, lasciamo che i fatti parlino da soli.

Nel 1963 fu redatto un manuale di 126 pagine, il Kubark Counterintelligence Interrogation, da e per i militari della CIA. Era uno dei testi utilizzati presso la School of the Americas, una sede di addestramento dell'esercito statunitense situata a Panama. Tra gli allievi, come ricorda Wikipedia, troviamo nomi illustri: Manuel Noriega e Omar Torrijos (Panamá), Leopoldo Galtieri e Roberto Eduardo Viola (Argentina), Hugo Banzer Suárez (Bolivia). 
Il manuale enumera una serie di tecniche utilizzate per estorcere informazioni e cita il progetto Mkultra, basato sul tentativo di controllare la mente umana e chiuso solo nel 1973. Il testo è rimasto segreto fino agli anni Novanta, mentre ora è consultabile in versione censurata.
Proprio nel 1973 hanno avuto inizio alcune delle dittature più sanguinose del Novecento: in Cile con Pinochet, in Argentina con Videla, in Gran Bretagna con la Tatcher, in Bolivia con Banzer, in Polonia con Jaruzelski, e poi in Cina, Sudafrica, Russia e infine negli Stati Uniti dell'11 settembre, data in cui è cominciata la minaccia fantasma degli attacchi terroristici i quali, come sostenuto anche da Michael Moore in Fahrenheit 9/11, sarebbero stati costruiti a tavolino per mettere la popolazione in ginocchio e poter giustificare una guerra sanguinosa come quella che ha distrutto l'Iraq.

Insomma, sarà una coincidenza, ma più guardiamo alla storia e più appare evidente il legame tra violenza psicologica e fisica per indurre all'obbedienza.
Torniamo ancora più indietro nel tempo: parliamo dei nazisti e di cosa avveniva nei campi di sterminio. La mancanza di cibo, le percosse, le torture, le camere a gas e le interminabili ore di lavori forzati sono ormai tristemente note. Ma date un'occhiata a cosa dice questo sito
"Questa malignità gratuita e deliberata aveva effetti, certo, sul piano fisico,  ma anche e soprattutto su quello psicologico: secondo Primo Levi, l’intento principale era distruggere la personalità del deportato, umiliarlo e offenderlo fino al punto di favorirne l’assuefazione, cioè l’avvio della sua trasformazione da essere umano in animale. A queste parole si possono affiancare quelle di Sergio Coalova: «La nostra personalità è ormai del tutto compromessa: la sottile perfidia dei nazisti riesce, nel breve volgere di pochi giorni, a trasformare in un branco di esseri abbrutiti coloro che avevano osato opporsi alla loro belluina violenza e alla loro arroganza di dominatori»"
E ancora:
"Il nazismo aveva ideato una vera e propria scienza della distruzione della personalità, tale da gettare l’individuo nell’angoscia più totale, riversando su ognuno l’agonia di tutti i compagni."

Cambiamo Paese, cambiamo periodo storico. Questo è un estratto dell'intervista ad un desaparecido sopravvissuto a ben cinque campi di concentramento argentini:
"A differenza dei precedenti colpi di Stato, il cosiddetto Processo (di Riorganizzazione Nazionale) non è stato una semplice accelerazione delle pratiche vigenti. E' stato il radicamento del terrore nella comunità - terrorismo di Stato - con il pretesto di eliminare la guerriglia già quasi inesistente, ma con l'obiettivo in realtà di impiantare un nuovo modello economico e sociale, congelando ogni tentativo di resistenza. 
Le deportazioni forzate e gli assassinii, che potevano colpire chiunque - un sindacalista, un dirigente studentesco, un guerrigliero, un semplice oppositore, ma anche familiari o amici di uno di loro -, insieme alle notizie che trapelavano sulle atrocità che si commettevano nei campi, installarono profondamente il terrore nel Paese. Il campo di concentramento si estendeva alla società. Il risultato è stato una comunità nella quale predomina la mancanza di impegno politico, di qualunque orientamento, e un esacerbato individualismo."

Eccoci finalmente alla chiave di volta, al nucleo del problema: indurre nei cittadini uno stato di terrore è fondamentale per l'affermazione del potere. 
Reagire con violenza ingiustificata durante manifestazioni pacifiche e convincerci di essere costantemente sotto attacco da parte di altre popolazioni o di altre culture serve a suscitare in noi un sentimento pericolosissimo: la paura. E la paura è ciò che ci rende obbedienti.
Il potere si basa sull'obbedienza. Secondo questo sito, fattori dell'obbedienza sono:
  • le informazioni
  • la paura delle sanzioni e delle ritorsioni
  • l'obbligo morale che ognuno di noi sente verso una legge, una norma o un'autorità riconosciuta
  • l'interesse personale di chi obbedisce
  • l'identificazione psicologica col governante
  • l'esistenza di zone di indifferenza per cui determinate situazioni ci lasciano "neutrali" perchè, apparentemente, non ci riguardano o coinvolgono
  • la mancanza di fiducia in se stessi e di una forte volontà
  • la tendenza ad evitare qualsiasi responsabilità
  • l'abitudine, che consolida tutti gli altri punti summenzionati.
Pensate a tutte le volte in cui, travolti dalla rabbia per l'ennesima dichiarazione offensiva di un politico, per le limitazioni imposte da una legge scritta dai ricchi per i ricchi, per un fatto di cronaca nera che vi tocca nell'intimo, vi siete trattenuti dallo scendere in piazza, dallo scrivere lettere di protesta o addirittura dal menare le mani. 
Scommetto che il motivo per cui avete desistito è contemplato nell'elenco che ho appena riportato.

Un'ultima domanda merita risposta: come mai ci sono persone che lavorano per il potere? Dal poliziotto che picchia il manifestante al torturatore del campo di sterminio, infatti, il sistema appena descritto si basa su una serie di comuni mortali che usano la violenza in tutte le sue forme giorno dopo giorno, rivolgendosi contro i propri simili per terrorizzarli e favorirne così la manipolazione da parte delle istituzioni. Come si spiega?
Una possibile risposta si trova nell'esperimento raccontato nel sito nel quale ho trovato l'elenco di cui sopra, nel quale ad un volontario veniva chiesto di torturare con delle scariche elettriche un altro soggetto legato ad una sedia nel corso di un finto interrogatorio. 
Il torturato era in realtà un attore che simulava sofferenza, ma ovviamente il torturatore non lo sapeva. Quest'ultimo seguiva gli ordini impartiti da un'altra figura che faceva parte dell'esperimento e che lo invitava ad attenersi al programma al minimo cenno di incertezza. 
Sul totale dei torturatori, solo il 40% non portava a termine l'interrogatorio: dopo le proteste iniziali, essi prendevano le distanze dalla sofferenza altrui e si concentravano sugli apparecchi a loro affidati per adempiere agli obblighi che pensavano di avere in quanto partecipanti all'esperimento. Ciò dimostra la nostra propensione a sottometterci agli ordini di chi percepiamo come autorità.

Nel bellissimo libro 1984 di George Orwell la spersonalizzazione dell'individuo, la segregazione e la tortura sono raffigurate come abituali nell'esercizio del potere. E' qui che troviamo un'altra risposta al nostro quesito:


In più ho trovato un bellissimo scritto di Sartre sul tema della tortura che forse può offrire qualche risposta in più.

Per concludere in bellezza, questa volta propongo, in luogo del consueto brano musicale, un video la cui visione è fondamentale per la comprensione di quanto scritto nel post perché raffigurazione tangibile dell'esercizio violento del potere da parte dello Stato e testimonianza di uno scandalo italiano molto recente: il massacro della scuola Diaz di Genova operato dalla polizia in occasione del G8
All'interno della struttura erano ospitati giovani provenienti da diverse parti del mondo, manifestanti pacifici sorpresi di notte nei loro sacchi a pelo e picchiati, arrestati e torturati dai poliziotti senza alcun motivo.
Consiglio inoltre la visione del film "Diaz - Non pulire questo sangue": la mia ricerca è partita da lì. Dopo aver assistito alla rappresentazione verosimile della strage, terrorizzata e confusa, una sola domanda mi riecheggiava nella testa: perché?
Purtroppo rispondere non mi ha aiutata a ritrovare la serenità.



lunedì 4 febbraio 2013

Rivoluzione Civile: piccola indagine



In questi giorni di frenetica campagna elettorale, i maggiori esponenti della politica italiana si avvicendano davanti alle telecamere e ai microfoni delle radio, con masse di giornalisti che corrono tra un comizio e una rassegna stampa. 
C'è qualcosa di questo balletto che non mi convince: alcuni candidati non si vedono mai, non si sentono e non se ne parla se non di striscio. Mi direte: impossibile, c'è la par condicio
Per gli affezionati di Wikipedia, la par condicio è l'insieme di «quei criteri adottati dalle emittenti televisive nel garantire un'appropriata visibilità a tutti i partiti e/o movimenti politici».
A quanto risulta dopo una semplice ricerca su internet, non c'è ad oggi un sito dove sia possibile tenere il conto delle apparizioni dei politici in televisione prima del voto. In effetti non dovremmo sentirne il bisogno, visto che in Italia esiste una Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom), sul cui sito peraltro si trova tutto, fuorché sondaggi simili a quello di cui sopra. Però io il conto approssimativo me lo voglio fare lo stesso. Così, per sfizio.
Ovviamente comincio con il Berlusca, perché lo so che stavate già pensando a lui: secondo questo articolo, nel periodo tra il 24 dicembre 2012 e il 14 gennaio 2013, se sommiamo le ore nelle quali è apparso in televisione e si è parlato di lui arriviamo alla bellezza di 63 ore. Monti è il secondo della lista con 62 ore. Terzo, ma parecchio distante, troviamo Bersani: 12 ore. Ultimo è invece Ingroia con poco meno di 10 ore totali.
La bandierina però la vince Grillo, che non è nemmeno citato: strano, per uno che secondo i sondaggi il primo febbraio risultava il terzo partito con il 18% di voti; meno strano per chi conosce la posizione alquanto refrattaria di Grillo nei confronti della tv, in base alla quale ha fatto promettere anche ai suoi seguaci di non servirsene, pena l'espulsione (vedi vicende Favia e Salsi).

Dunque la mia impressione è fondata e gravissima: in molti hanno sottolineato che ad una maggiore visibilità in televisione segue quasi sempre un aumento di consensi tra gli elettori. Il quasi è d'obbligo: sembra infatti che l'unico caso in cui la regola fa difetto sia quello di Monti, il quale riesce ad abbassare il suo consenso ogni volta che apre bocca. Almeno secondo questo articolo. Lo cito anche per evidenziare una strana attitudine italiana: a quanto pare, ci facciamo influenzare parecchio dai sondaggi, i quali però non sono sempre affidabili (c'è chi considera come possibili voti anche le preferenze ottenute da un politico sul profilo twitter o facebook).
In pratica l'italiano medio decide chi votare anche in base a quello che fanno gli altri. Un indeciso va su internet, clicca sul sito del primo istituto di ricerca che gli capita a tiro, guarda chi è il primo e dice massì, mò lo faccio pure io.
Poi ci lamentiamo del Parlamento, come se a votare ci andassero i puffi.
Ho quindi deciso di dedicare il post che state leggendo all'ultimo partito della mia lista: Rivoluzione Civile di Ingroia. E' necessario infatti che gli elettori si informino su ciascun candidato prima di andare a votare. Altrimenti tutti i discorsi su quanto è bello il diritto al voto diventano chiacchiere e le chiacchiere, in un Paese dove ogni giorno che passa aumentano senzatetto, disoccupati ed esodati, stanno davvero a zero.
Piccola parentesi: il 31 gennaio il CDA della Rai ha previsto solo tre conferenze stampa dedicate separatamente a Berlusconi, Bersani e Monti per la fine della campagna elettorale, il 22 febbraio. A noi il compito di ricordare l'esistenza di tali Grillo, Giannino e Ingroia, anche se i sondaggi riservano loro “solo” 18, 2 e 5 punti percentuali.

Tanto per cominciare, il programma. Faccio un riassuntino.
Europa si, ma più equa: niente tagli alla spesa sociale come quelli previsti dal Fiscal Compact e un indicatore che, accanto al PIL, non si basi solo su quanto si produce in un Paese per misurarne il benessere, ma anche sulle condizioni ambientali e sociali.
Lotta alla criminalità organizzata attraverso ad esempio il ripristino del falso in bilancio e l'inserimento nel codice penale dei reati contro l'ambiente. La difesa dell'ambiente si riflette anche nel rifiuto della TAV e del Ponte sullo Stretto e nell'interesse per i diritti degli animali.
Affermazione della laicità dello Stato, dei diritti delle coppie di fatto omosessuali e non, della cittadinanza a tutti i nati in Italia. A questo proposito nel sito di Rivoluzione Civile si dicono peste e corna della legge Bossi-Fini.
Creazione di occupazione grazie al ripristino dell'articolo 18, investimenti sulla ricerca, riconversione ecologica dell'economia (nella Home di oggi si trova un bell'articolo sugli effetti economici della globalizzazione).
Abolizione dell'IMU sulla prima casa, patrimoniale sulle grandi ricchezze, rafforzamento del sistema pubblico sanitario, alleggerimento delle tasse per i redditi medio-bassi, eliminazione della riforma Fornero e soprattutto estensione delle tasse agli immobili di proprietà della Chiesa e delle Banche. Quest'ultimo punto, in particolare, è presente solo nel programma di Rivoluzione Civile. Solo che bisogna andarsi a leggere il programma, per saperlo. Quindi fatelo, ci vogliono cinque minuti.
Aggiungo solo: politiche per il disarmo (l'Italia ripudia la guerra, gli italiani un po' meno...), incandidabilità dei condannati, eliminazione dei privilegi della classe politica, abolizione di spese come quella dei cacciabombardieri F35, sulla cui inutilità ha detto bene Crozza a Ballarò.

Passiamo invece al personaggio.
Ingroia è un siciliano di 53 anni che ha fatto il magistrato per 25 anni, durante i quali ha lavorato, tra gli altri, anche con Paolo Borsellino. Nel 1992 è diventato sostituto procuratore a Palermo ed è famoso per le sue indagini sulla trattativa Stato-mafia, sul capo dei servizi segreti Bruno Contrada e su Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi. Recentemente gli era stato proposto dall'Onu un incarico per la lotta al narcotraffico in Guatemala. Inizialmente ha accettato, ma nel dicembre del 2012 è tornato in Italia per fondare Rivoluzione Civile. Il partito ha l'appoggio di Italia dei Valori, Movimento Arancione, Verdi, Rifondazione Comunista e Partito dei Comunisti Italiani. Aveva ottenuto anche l'adesione di altri movimenti come Cambiare Si Può, Agende Rosse di Borsellino e Popolo viola, ma in seguito alla compilazione delle liste si sono scatenate forti polemiche che hanno portato alla rottura.
Ci arrivo, andiamo con ordine.

All'inizio dell'avventura politica di Ingroia in molti hanno ipotizzato che il suo ritorno in Italia fosse dovuto ad una sua inadeguatezza per l'incarico o alla sua volontà di approfittare di privilegi economici ben più elevati di quelli di cui avrebbe goduto come rappresentante dell'Onu.
In merito alla prima obiezione, rimando ad un estratto molto breve della puntata di Servizio Pubblico in cui è lo stesso Ingroia a rispondere. Nel video, inoltre, la giornalista racconta di aver contattato l'Onu e di aver raccolto solo giudizi positivi sull'operato del magistrato in merito all'incarico affidatogli.
Per quanto riguarda la seconda ipotesi, rimando alla palla di vetro e ai sensitivi.
Altra polemica degna di nota è quella innescata da Ilda Boccassini, il pm di Milano famoso per l'inflessibilità alla lotta contro la mafia e per i processi contro Berlusconi. Dovrebbe essere la migliore amica di Ingroia, invece si è offesa quando lui ha pronunciato la seguente frase in merito ai numerosi attacchi riservatigli da tutti i personaggi politici e della magistratura subito dopo essersi candidato: «è anche vero che è già successo ad altri e più autorevoli magistrati come Falcone: quando iniziò un'attività di collaborazione con la politica venne criticato soprattutto dai colleghi». La Boccassini ha replicato che nessuno può paragonarsi a Falcone e le hanno fatto eco l'ex procuratore nazionale antimafia Piero Grasso e Maria Falcone, sorella del giudice.
Peccato che Ingroia non si sia mai paragonato a nessuno: anzi, ha annoverato Falcone tra gli “altri e più autorevoli magistrati”, tesi appoggiata anche da Agnese Borsellino e Luigi Furitano, presidente del Centro Studi Paolo Giaccone.

Sulle polemiche e gli attacchi fatti e subiti da Ingroia si potrebbero scrivere libri, ma non servirebbe ai fini della nostra piccola indagine, soprattutto perché la maggior parte di essi vanno contestualizzati in una campagna elettorale disseminata di colpi bassi, insinuazioni, scandali e risse da bar.
Andiamo al sodo, cioè all'unico problema vero di Ingroia: la formazione delle liste, che lo ha portato alla scissione di cui sopra.
Il problema è nel nome: la rivoluzione è stata chiamata civile ad indicare la partecipazione alle liste da parte di esponenti della società come i ragazzi delle Agende Rosse o del Popolo Viola. Invece a quanto pare le persone proposte dai movimenti sono state relegate in panchina a fare il tifo, mentre i vari esponenti dei partiti che sostengono Ingroia saranno affiancati da gente non troppo comune: amici degli amici, raccomandati di partito. Nello specifico, poiché RC conta di eleggere 21 persone a Montecitorio, 11 saranno indicate dai partiti (4 da IdV, 3 da Prc, 2 dal Pdci, 2 dai Verdi), 6 da Ingroia e 4 tra De Magistris e Leoluca Orlando. I nomi li trovate sul sito di RC.
Inoltre Massimo Malerba, uno dei fondatori del Popolo Viola, ha dichiarato a Tempi.it che sarebbe già in programma un accordo col PD. In effetti è stato lo stesso Ingroia a parlare di una proposta da parte di Bersani che suonava più o meno così: io inserisco un paio di senatori di RC nelle liste del PD, ma tu in cambio ti levi di mezzo e la smetti di farmi perdere voti. Proposta rigettata con disprezzo. Malerba, però, ha affermato che la desistenza era fortemente voluta da Diliberto e Di Pietro e non è stata attuata solo grazie a Ferrero e De Magistris. Oltretutto ha aggiunto: «per quel che intuisco, ci sarebbe anche un secondo accordo con il PD, che potrebbe scattare dopo le elezioni: è nelle cose, lo cercano e lo vogliono, infatti i soggetti incompatibili con questo piano sono fuori dalle liste o in posizioni ineleggibili. Un esempio sono i no Tav in Piemonte, fatti fuori dalle liste proprio per evitare elementi di conflittualità».

Di fatto, Ingroia non ha mai negato di volere un accordo col PD successivo alle elezioni e d'altra parte se si considera che col nostro sistema elettorale per far passare una legge bisogna avere l'appoggio di mezzo mondo è normale che i partiti si alleino tra di loro e cerchino un compromesso tra le parti (purtroppo o per fortuna, prendetevela con Calderoli). Lo stesso Salvatore Borsellino ha confermato il suo appoggio ad Ingroia in virtù della stima che nutre nei confronti del magistrato, anche se la delusione per un comportamento diverso dalle aspettative è palpabile e, aggiungo io, comprensibile.
Insomma, ad ognuno la propria opinione in merito. L'importante, è bene ribadirlo, è riflettere a fondo sulla propria scelta ed evitare di appoggiare un candidato perché è il meno peggio, perché appartiene ad uno schieramento che ci siamo abituati a credere nostro o perché è un magistrato/imprenditore/operaio e come tale risulta più credibile di altri: sono criteri che la storia della politica italiana ha rivelato essere insufficienti per scegliere un valido rappresentante.
Svegliamoci: siamo ancora in tempo.

Ascolto consigliato:


giovedì 31 gennaio 2013

Invisible Monsters - Chuck Palahniuk


Ci sono una donna senza volto, un trans e un bisex ninfomane.
Non è una barzelletta: se non lo avete capito, questo è un libro di Palahniuk. E dentro ci sono i suoi mostri personali. Non tutti, per fortuna.

Dunque, dal principio.
Cosa rende bella una donna? I più politically correct mi diranno: l'unione di bell'aspetto, un cervello che funziona e buon cuore. Ci si potrebbero scrivere libri. Ecco, Palahniuk l'ha fatto, ma uno se ne rende conto solo alla fine.
La protagonista è una modella, Shannon McFarland, abituata a lavorare con la sua bellezza esteriore. La incontriamo mentre, nel letto di una clinica, cerca il coraggio di ricominciare dopo un tragico incidente che le ha portato via il volto.
In realtà più che un incidente è stato un tentato omicidio: qualcuno le ha sparato tagliandole via tutto quello in cui si era identificata fino a quel momento. La sua narrazione è continuamente interrotta da flash di macchine fotografiche invisibili: per mostrare un'emozione ha bisogno di immaginare che le venga richiesta, come facevano i fotografi che l'hanno immortalata prima che finisse in clinica. D'altra parte il suo viso non è più in grado di mostrare alcunché e nella parte iniziale del romanzo assistiamo ad un susseguirsi di ricordi legati al suo lavoro, all'immagine che conserva di sé stessa, alla sua amica Evie e all'uomo che ama, Manus. Ma non sono bei ricordi: Manus l'ha abbandonata tradendola con Evie e ora Shannon è completamente sola.

Uno si aspetterebbe di vedere i genitori della ragazza precipitarsi in clinica, cercare di starle vicino, che so, tentare di rendersi utili, ma Palahniuk ha una concezione della famiglia che si discosta leggermente dalla cosiddetta normalità. Fin dalle prime pagine, infatti, si insinua tra i pensieri di Shannon il fantasma del fratello Shane, cacciato di casa quando era ancora un ragazzino a causa della sua omosessualità, malvista dai genitori.
Shannon avrebbe potuto evitargli almeno la prima notte in mezzo ad una strada, ma non lo fa: suo fratello ha sempre avuto troppe attenzioni per i suoi gusti. Ha un bel cervello, un bell'aspetto e tutto quanto serve per essere benvoluto; in più, una volta gli è esplosa una bomboletta di lacca in faccia e da allora è il cocco di casa. Dunque, che rimanga fuori a dar fuoco ai panni stesi: se è l'unico modo di ottenere un minimo di affetto dai suoi, meglio convivere col senso di colpa per tutta la vita.
Tanto peggio se poi, qualche tempo dopo, suo padre riceverà una telefonata da qualcuno che gli annuncia ridendo della morte di suo figlio per HIV. Pazienza se da quel momento mamma e papà diventeranno i più grandi esperti di pratiche sessuali estreme e si barricheranno in casa per proteggersi da ipotetici vandali omofobici. Ben vengano i profilattici impacchettati sotto l'albero di Natale per essere sicuri che Shannon, ignorata come e più di prima, faccia sesso sicuro e non faccia loro rivivere la tragedia di perdere un figlio.
Insomma, diciamo che la ragazza non aveva considerato bene le conseguenze della sua decisione.

Già fin qui, ci si sente tempestati di informazioni: i tasselli della storia familiare di Shannon non ci vengono presentati uno dopo l'altro, ma con la frammentarietà che contraddistingue una mente sotto shock che non ha alcuna voglia di rivivere il suo passato e vorrebbe solo allontanarsene a gambe levate. Palahniuk è molto abile nell'imbastire una fitta rete di avvenimenti che distolgono l'attenzione del personaggio dai suoi problemi reali, proprio come fa ognuno di noi costruendosi giorno per giorno degli alibi che ci permettano di non affrontare le situazioni per quello che sono.
I colpi di scena diventano la normalità: non c'è pagina che non ne nasconda uno, ma non perché l'autore sia a corto di idee e cerchi in ogni modo di mantenere vivo l'interesse del lettore, bensì per avere il tempo di scoprire ad una ad una le sue carte e rivelarci il quadro completo solo alla fine. Il suo linguaggio caustico e aggressivo e i suoi personaggi estremi sono necessari per mostrarci non la bellezza comunemente intesa e facilmente riconoscibile, ma la sua essenza, nascosta tra le righe delle storie più assurde.

Shannon sa bene che la sua carriera è terminata, non ha più nulla da fare se non cercare di rimettersi in sesto, per cui è costretta a guardarsi dentro tutti i giorni per ricostruire un'immagine di sé da proporre agli altri. Il compito è molto duro e lei sembra soccombere, ma alla fine arriva Polly. Cioè no, arriva Brandy.
Brandy Alexander frequenta la stessa clinica di Shannon, ma per motivi diversi: era un uomo, mentre ora è una sventolona ultra sexy sempre truccata e ingioiellata, dalla sicurezza e dalla femminilità esplosive. E' naturale che faccia l'effetto del miele con le api per un mostro senza volto che non sa più cosa significa essere guardate con desiderio. Soprattutto, Brandy è l'unica che può mostrarle l'aspetto di una persona per quello che è: un artificio, un'illusione costruita a tavolino con l'aiuto di chirurghi, logopedisti, bei vestiti, tanto trucco e una quantità di medicinali che basterebbe per un anno ad una intera Nazione. Quando Palahniuk scrive di Brandy c'è una parola ricorrente, una di quelle che definiremmo parole chiave per la loro capacità di riassumere un'immagine, un concetto, un pensiero, e quella parola è: tette.

L'arrivo di Brandy nella vita di Shannon provoca una reazione a catena che finirà con la morte della prima nelle braccia della seconda alla fine del libro. Palahniuk ce lo annuncia fin dalle prime pagine, per cui ci arriviamo preparati e francamente neanche troppo scossi. In mezzo ci sono due incendi, entrambi provocati dalla ex modella: si comincia con la casa di Evie, che le ha offerto un tetto dopo essere uscita dalla clinica. Evie non c'è e durante la notte, guarda caso, arriva Manus con un coltello degno di un film di Hitchcock. Shannon ora sa che è stata la sua amica a spararle, ma poiché le è andata male ha mandato i rinforzi.
Niente, Shannon non vuole morire: dà fuoco a tutto, chiude Manus nel portabagagli della sua auto e va a prendere Brandy dalle sorelle Rhea per iniziare la fuga.

Un attimo: chi sono le sorelle Rhea?
Sono trans come Brandy: le hanno pagato tutte le operazioni che, da ragazzino scappato di casa e dal viso sfigurato, l'hanno trasformata nella versione porno di Barbie. Vi si è accesa una lucetta?

Dicevamo: comincia la fuga. Qui Palahniuk ha un autentico colpo di originalità: secondo voi come fanno una donna senza volto, un quasi-omicida e un trans a procurarsi da vivere mentre scappano da uno Stato all'altro? Semplice: visitando case extra lusso fingendosi potenziali compratori, rubando tutte le medicine che riescono a trovare durante la visita e rivendendole in giro.
Intanto Brandy non rinuncia a servirsi abbondantemente dalla scorta e anche Manus, a sua insaputa, ne fa incetta: Shannon gli versa sempre qualcosa nel bicchiere per dargli la grande opportunità di diventare una donna bella come Brandy.
Inutile dirlo: la nostra modella è ancora innamorata di Manus, ma è un tantino incazzata perché più ci pensa, più si rende conto di non essere mai stata amata veramente né da lui, né dalla sua famiglia, né dalla sua unica amica. Dai suoi flashback emerge una Evie sempre intenta a modificare la sua immagine per diventare più bella, mentre Manus, che di professione faceva il poliziotto ma non aveva altre qualità oltre al fatto di essere bello, veniva usato per attirare omosessuali in cerca di sesso nei parchi, fin quando la sua faccia era diventata troppo conosciuta in giro perché qualcuno si potesse avvicinare senza temere di essere arrestato. Shannon aveva dovuto assistere allo spettacolo di un uomo intento a provarsi costumi sempre più attillati e provocanti per non perdere una posizione lavorativa già di per sé squallida e si era resa conto, tutto d'un tratto, di aver perso l'amore.

Saranno anche mostri, ma non sono scemi: sanno bene che il loro viaggio non può continuare in eterno. La resa dei conti arriva per tutti. E infatti, poiché le cose semplicemente accadono (accade che tuo figlio è omosessuale anche se non vuoi, accade che gli esploda una bomboletta di lacca in faccia e che la polizia ti accusi di maltrattamento su minori, accade che qualcuno spari in faccia a tua figlia che guarda caso fa la modella e con la faccia ci campa, accade che mentre fugge da sé stessa incontri suo fratello in tacchi a spillo e minigonna...), accade anche che i nostri eroi si infilino proprio in una delle case di Evie durante i preparativi del suo matrimonio con un cretino scelto a caso dalla famiglia per impedirle di fare altri danni in giro. E mentre un altro prototipo di mamma anaffettiva racconta di come sua figlia fosse in realtà un uomo e si chiamasse Evan, Shannon ripensa all'unico elemento purificatore della sua esistenza: il fuoco.
Il fuoco che ha sfigurato Shane innescando la distruzione della sua famiglia. Il fuoco che le ha bruciato i vestiti la notte che Shane se n'è andato, pieno di rabbia da sfogare su sé stesso. Il fuoco che ha bruciato la casa della sua finta amica. Il fuoco che ora brucerà l'ipocrisia di un matrimonio senza amore. Soprattutto, il fuoco che le ha portato via il viso. Con una differenza: il colpo di fucile lei lo ha desiderato con tutta sé stessa per liberarla dalla prigione che era diventata il suo bellissimo corpo. Ricominciare da capo, poter essere amata: è questo ciò che voleva quando si è sparata. E ora finalmente è in grado di ammetterlo.

Shannon assiste pietrificata all'immagine di Evie che scende le scale di casa col suo vestito da sposa bruciato e un fucile in mano. La guarda mirare a Brandy che ride di gusto, accusarla di tutto. Brandy somiglia moltissimo a Shannon, mentre nessuno sa chi sia la mummia coperta di veli che le sta affianco senza muovere un dito. Ancora una volta, Shannon non riesce ad aiutare Shane, ma questa volta almeno può prendersi la colpa del male che la circonda.
Manus ed Evie hanno sospettato l'uno dell'altra: è lei che ha permesso loro di farlo, rimanendo in clinica ad aspettare che le cose, semplicemente, accadessero. Shane è diventato Brandy perché le uniche persone disposte ad accoglierlo erano le sorelle Rhea; non lo desiderava veramente, voleva solo farsi del male per aver distrutto la sua famiglia, e Shannon avrebbe potuto farlo entrare prima di perderlo per sempre: non lo ha fatto, stava aspettando che il destino di suo fratello si compisse. I suoi genitori sono impazziti dal dolore di una perdita che non hanno capito: Shannon poteva parlare, dire alla polizia che la bomboletta era esplosa per caso e nessuno aveva voluto fare del male a Shane, avrebbe potuto difenderlo nel momento in cui i suoi non avevano saputo gestire la situazione e permettere loro di riflettere. Non lo ha fatto e la cosa comica è che la colpa di tutto non è sua, ma lo è diventata quando ha deciso di non reagire. Si è limitata ad aspettare l'amore come se le fosse dovuto, per poi capire, finalmente, che l'amore non si aspetta: si conquista.

E così, Shannon reagisce. Il caso, infatti, per quanto caino, le dà un'altra possibilità: Shane ha subito un bel colpo, si vede dal viso livido e sofferente che le sorelle Rhea, riunite intorno al letto d'ospedale, tentano di trasformare in quello di Brandy con un bel po' di trucco. Ma suo fratello non è morto: aspetta solo di risvegliarsi.
Il momento di ricominciare è arrivato, questa volta ce la può fare: lascia i suoi documenti nelle mani del fratello per regalargli una nuova identità, si toglie i veli dalla faccia ed esce.
Ad aspettarla fuori, milioni di mostri invisibili.

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