L'obiettivo
di questo post è dimostrare che esiste un collegamento tra il debito
pubblico degli Stati e il fallimento della nostra economia dei materiali, cioè il
sistema che ci permette di produrre e consumare i nostri beni
materiali.
Riguardo
al debito pubblico vi rimando al post che ho scritto in precedenza.
In questa sede ci serve ricordare solo che esso è strettamente
legato al PIL, cioè al rilevatore che misura le merci che vengono
comprate e vendute: più un Paese viene considerato ricco, più sarà
in grado di ripagare i suoi debiti e viceversa.
Lo
scopo primario della nostra economia, quindi, è diventato produrre
quante più merci è possibile, in modo da aumentare la propria
ricchezza.
Ma
ci arriviamo.
Le
tappe principali dell'economia dei materiali sono l'estrazione delle
materie prime, la produzione, la distribuzione, il consumo e lo
smaltimento.
Per
quanto concerne le materie prime, sappiamo tutti che esse sono in
gran parte limitate: negli ultimi trent'anni abbiamo utilizzato un
terzo delle risorse di tutto il Pianeta, l'80% delle foreste sono
state abbattute e solo in America il 40% dei corsi d'acqua è
diventato non potabile.
Per
materie prime dobbiamo intendere soprattutto quelle che ci consentono
di produrre un bene preziosissimo: l'energia. Essa viene prodotta per
l'85% grazie ai combustibili fossili, cioè il carbone (26%), il gas
naturale (23%) e il petrolio (40%).
Il
petrolio è causa di grande preoccupazione: la metà dei giacimenti
si è già esaurita (per dirlo con i geologi, abbiamo raggiunto il
picco del petrolio), per cui il prezzo aumenta sempre di più e
aumentano anche i conflitti causati dalla corsa agli
approvvigionamenti (basti pensare all'Iraq).
Entro
il 2030 la richiesta di petrolio aumenterà del 40%: oltre ad usarlo
per l'energia, esso è presente nei farmaci, negli alimenti, nei
vestiti... praticamente ovunque.
Un terzo delle guerre civili oggi in
atto sono in corso in Paesi produttori di petrolio, per cui in
qualsiasi momento i loro Governi potrebbero crollare portandosi
dietro la nostra economia.
Senza
contare che il petrolio, insieme al gas naturale e al carbone, è tra
le cause principali del riscaldamento globale.
Ma
di questo parleremo dopo.
In
merito alle materie prime c'è da aggiungere un'altra cosa: poiché
nei Paesi più ricchi queste scarseggiano, spesso si ricorre a quelle
dei Paesi più poveri. In Amazzonia vengono abbattuti 2000 alberi al
minuto e gli abitanti della zona, presenti sul territorio da
generazioni, non sono più in grado di sostentarsi, per cui sono
costretti a spostarsi per trovare lavoro.
Condividono
questo destino con circa 200.000 persone ogni giorno e molte di esse
saranno costrette ad accettare lavori pericolosi e dannosi per la
salute all'interno delle stesse fabbriche dove le risorse che sono
state loro sottratte verranno unite a sostanze pericolose.
Siamo
arrivati alla seconda tappa: la produzione.
La
pratica di unire le materie prime a sostanze chimiche e tossiche ci
ha portato a mettere in commercio circa 100.000 prodotti contaminati
che si accumulano anche in ciò che mangiamo: uno studio recente ha
rivelato che il prodotto alimentare più tossico in circolazione è
il latte materno.
Negli
USA le industrie ammettono di liberare 2milioni di tonnellate di
sostanze tossiche all'anno, per cui spesso le fabbriche più tossiche
vengono spostate nelle zone più povere del mondo, le stesse dove
vengono reperite le materie prime.
Si
calcola che per ogni nostro bidone di spazzatura ci siano altri dieci
bidoni della stessa grandezza pieni degli scarti causati dalla
produzione degli stessi oggetti che abbiamo cestinato.
A
produzione ultimata, si provvede alla distribuzione: si cerca di
vendere il maggior numero di prodotti possibile nel minor tempo
possibile esternalizzando i costi, cioè non includendo i costi di
produzione nel prezzo del prodotto.
Se
ad esempio acquistiamo un computer a 100 euro, sappiamo già che i
nostri soldi non possono ripagare l'estrazione delle materie prime
che ci sono volute per farlo e il loro assemblaggio.
Allora
chi paga?
Pagano
il lavoro minorile e/o sottopagato, le persone che hanno subito il
saccheggio delle loro risorse, quelle che moriranno a causa delle
malattie provocate dall'inquinamento, i tagli all'assistenza
sanitaria del commesso che ci ha venduto il pc.
I
meccanismi non sono diversi per quanto riguarda l'energia: produrla attraverso i combustibili fossili e il conseguente
incremento di CO2 nell'aria provocheranno un innalzamento del livello
del mare di 7 metri e ci sono centinaia di milioni di persone che
vivono al di sotto di esso (i Paesi Bassi, ad esempio,
scomparirebbero).
Senza
contare che cambieranno il livello di umidità e la fertilità della
terra e flora e fauna saranno compromesse per sempre: molti di noi
sono destinati a morire di fame, soprattutto i più poveri.
E
quelli che non moriranno di fame, saranno sterminati dalla
competizione per accaparrarsi le ultime risorse disponibili:
conflitti armati, attentati terroristici e via discorrendo.
Rallegrati
e confortati, possiamo passare alla terza tappa del nostro tour: il
consumo.
Abbiamo
prodotto un sacco di roba, il PIL è cresciuto e siamo tutti
contenti. E ora?
E
ora ci ritroviamo con una marea di merci che ci devono convincere a
consumare. Ma soprattutto, i prodotti in commercio non possono essere
troppo duraturi, altrimenti non sentiremmo l'esigenza di comprarne
altri.
Per
arrivare a questo risultato, i processi sono due:
- Obsolescenza pianificata: alcuni prodotti vengono costruiti in modo da diventare inutili il prima possibile. Per rimanere all'esempio di prima, qualunque pc diventa obsoleto dopo due anni;
- Obsolescenza percepita: bisogna far credere alle persone di avere bisogno della versione più aggiornata di un oggetto, anche se possediamo la versione precedente e funziona benissimo. La moda è un esempio perfetto: da un anno all'altro cambiano le tendenze e per rimanere al passo coi tempi bisogna cambiare guardaroba ad ogni cambio di stagione.
E'
stato calcolato che il 99% dei prodotti in commercio diventa
spazzatura dopo un periodo massimo di sei mesi.
Il
risultato è che lavoriamo tutti molto di più per poterci permettere
ciò di cui la televisione e i giornali dicono che abbiamo bisogno:
abbiamo meno tempo libero adesso che non qualche secolo fa e abbiamo
sempre qualche debito da ripagare.
Il
consumo di petrolio, invece, si espleta per un terzo nel
riscaldamento degli edifici, per un altro terzo nella produzione
dell'energia elettrica e per un altro terzo nell'utilizzo del
combustibile necessario ai trasporti (camion, auto, ecc).
Le
centrali termoelettriche odierne hanno un rendimento del 35%: ciò
significa che il 65% dell'energia viene disperso per la produzione
dell'energia stessa.
Per
quanto riguarda i mezzi di trasporto, essi hanno un rendimento
bassissimo e spesso vengono usati male: lo sapevate che l'Italia
esporta circa dieci tonnellate di biscotti al giorno in Olanda?
Peccato che anche l'Olanda esporti dieci tonnellate di biscotti in
Italia.
Ciò
equivale a trasportare delle merci su e giù per il Pianeta senza un
effettivo beneficio.
Inoltre
nel mercato produttivo esistono delle assurdità non trascurabili: in
America mangiano salmone dell'Alaska sfilettato in Cina. Che senso
ha?
Arriviamo
così allo smaltimento.
Acquistare
a ritmi frenetici porta all'esigenza di smaltire tonnellate e
tonnellate di rifiuti sotterrandoli oppure incenerendoli:
quest'ultima soluzione ha portato alla creazione delle sostanze più
pericolose che siano mai esistite. Una di queste è la diossina, che
è nata appunto quando le sostanze tossiche contenute nei nostri
prodotti sono state disperse nell'aria.
Il
riciclaggio è un grosso aiuto per l'ambiente, ma non è abbastanza:
molti materiali non sono riciclabili e alcuni prodotti sono
assemblati in modo da non esserlo.
Pensate
alle confezioni dei succhi di frutta: spesso sono fatte di cartone
rivestito in alluminio e plastica, materiali che presi singolarmente
sono smaltibili, ma nella forma definitiva non sono separabili gli
uni dagli altri e finiscono nel bidone dell'indifferenziata.
La
raffinazione del petrolio produce scarti in ogni sua fase e alla fine
si ottiene una sorta di catrame composto da zolfo e sostanze pesanti. In Paesi particolarmente avanzati la miscela si può
riutilizzare in alcuni impianti come combustibile, ma quando parlo di
Paesi avanzati penso alla Danimarca... non all'Italia.
Arriviamo
così al nesso tra il nostro sistema di produzione e il debito.
Partiamo
da una semplice considerazione: tutti i Paesi industrializzati sono
indebitati, anche i più virtuosi come la Germania. D'altra parte, se
un Paese non avesse un debito da risanare non venderebbe i suoi
titoli sovrani.
Proviamo
ora a sintetizzare e semplificare al massimo.
Poiché
le materie prime sulle quali basiamo il nostro sistema produttivo
sono limitate, il loro prezzo aumenta mano a mano che diventa più
difficile reperirle. Perché il prezzo del prodotto finito possa
rimanere competitivo, le aziende riducono i salari e le assicurazioni
dei propri lavoratori e aumentano le ore di lavoro; molte si spostano
in Paesi dove i diritti del lavoratore non sono riconosciuti e dove è
permesso anche il lavoro minorile.
Per
abbassare i costi di produzione, si prediligono tecnologie che
eliminano, per quanto possibile, l'apporto dell'uomo e sempre più
persone rimangono senza lavoro.
Lo
Stato si trova quindi a pagare: i sussidi di disoccupazione, le cure
per le malattie dovute all'inquinamento conseguente alla produzione
di elementi tossici, i costi di smaltimento delle sostanze nocive e
dei prodotti non riciclabili e le spese per il risanamento dei
disastri ambientali fin troppo frequenti.
Perché
il sistema non crolli, le aziende devono produrre sempre di più, ma
con l'andare del tempo ci sono sempre meno persone in grado di
acquistare anche beni di prima necessità.
Il
debito pubblico intanto aumenta e lo Stato, come estrema soluzione,
taglia le spese sanitarie (i nostri ospedali sono continuamente in
stato di emergenza), non sostiene i disoccupati (dicesi esodati) e
non si preoccupa di aiutare le popolazioni colpite da disastri
naturali e non (L'Aquila, Taranto).
In
ultima istanza, anche i soldi dedicati al finanziamento delle imprese
non esistono più: quelle statali vengono privatizzate (Poste
Italiane) e quelle private vanno all'estero, dove il costo del lavoro
è minore (Alcoa).
Vedete
quanto il problema dell'ecosostenibilità sia attuale?
Esistono,
ovviamente, anche delle soluzioni, ma questo articolo mi sembra già
abbastanza lungo da proporvele in questa sede.
A
breve parlerò dell'esigenza di sostituire i combustibili fossili con
energie rinnovabili, di ridurre il consumo di energia per poterla
meglio distribuire anche nelle zone meno ricche del mondo,
dell'importanza di mangiare alimenti prodotti nel nostro territorio e
di limitare al minimo il consumo di carne.
Ma
soprattutto parlerò della teoria della decrescita, di cui vi accenno
il principio fondante.
Abbiamo
detto all'inizio che la ricchezza di un Paese viene misurata in base
ad un regolatore, il PIL, che indica quante merci vengono prodotte e
vendute. Come dice giustamente il Professor Maurizio Pallante,
Presidente e Teorico del Movimento Nazionale per la DecrescitaFelice, se in Italia ci fosse un'epidemia e fossimo costretti a
comprare una grande quantità di farmaci, il PIL crescerebbe ma ciò
non porterebbe ad un miglioramento della qualità della vita.
E
ancora: se ognuno soddisfacesse il proprio fabbisogno alimentare
coltivando un orticello, mangeremmo prodotti non trattati con
pesticidi a base di petrolio, non innaffiati con acqua inquinata e
non lavorati con macchine agricole energivore. Il PIL diminuirebbe
perché nessuno avrebbe bisogno di acquistare prodotti alimentari, ma
la qualità della vita sarebbe ben lungi dal peggiorare.
Forse
allora non è detto che incrementare la produzione dei beni per
aumentare il PIL sia la soluzione migliore per i cittadini. O no?
A
presto.
Ascolto consigliato:
complimenti! Articolo interessantissimo, hai letto "Meno e meglio" di Pallante per caso?
RispondiEliminaA.
Grazie mille!
RispondiEliminaNo, non l'ho letto. Me lo consigli?