Oggi parliamo di un documentario del 2003, anzi di un art-documentary pluripremiato da leccarsi gli occhi. Argomento: il terrore di obbedire ad un sistema, quello consumistico, che non ci appartiene e che ci rende schiavi.
Erik Gandini ha colto nel segno.
Non stiamo parlando del solito film su quanto è brutto e cattivo il consumismo, su quante cose sprechiamo, sul nostro impatto ambientale devastante, sulla ricchezza di alcuni contrapposta alla povertà di molti: tematiche sicuramente interessanti delle quali non si può e non si deve smettere di parlare.
Qui c'è qualcosa di più, qualcosa che ci fa rimanere incollati allo schermo per tutto il tempo in contemplazione mentre i nostri neuroni esultano in esplosioni da fuochi artificiali nel nostro piccolo mondo: finalmente cibo vero per il nostro cervello, non la solita sbobba da cinepanettone o gli insulti televisivi del già-visto-già-sentito.
John Zerzan, grande protagonista del film, è l'anarchico ideatore del Primitivismo, teoria che propone il ritorno all'età della pietra come soluzione alla distruzione dell'ambiente a causa della sovrapproduzione di beni che in realtà non servono a nessuno.
Secondo lui la società mondiale si basa sulla trappola del consumo: non è mai abbastanza, siamo obbligati ad acquistare oggetti solo perché ce lo dice la pubblicità, la cui arma migliore è lo spot di trenta secondi. Affascinati dalla possibilità di sentirci migliori semplicemente spendendo dei soldi, corriamo al supermercato e ci riempiamo i carrelli di stupidaggini, ma il nostro vuoto interiore non accenna a diminuire e ci accorgiamo di essere solo i piccoli ingranaggi di un sistema mastodontico.
Il documentario si apre con le immagini del G8 di Genova (2001) e della distruzione perpetrata dai Black Block: Zerzan è stato accusato di essere il loro capo ideologico perché sostiene che chi protesta pacificamente non viene ascoltato, mentre chi passa alle vie di fatto viene quantomeno notato. Attenzione: alla base di questa affermazione c'è la convinzione che il danno alla proprietà non è violenza; quella ai danni di persone fisiche viene fortemente deprecata, mentre si sente in sottofondo il coro dei protestanti intonare "polizia assassina" e scorrono le immagini del corpo senza vita di Carlo Giuliani.
A conferma di quanto il sistema sia fallimentare, Svante, un ragazzo diventato milionario grazie ad internet, parla di quanto si senta inutile e di quanto sia difficile spendere i soldi che ha guadagnato: sa di poterci fare molte cose, ma non sente l'esigenza di alcuna di esse.
A scanso di equivoci, il film prende le distanze anche dal comunismo, rappresentato nella realtà vivente di Cuba con il suo Fidel Castro: i suoi discorsi granitici pieni di orgoglio sono contrapposti alle immagini di negozi vuoti. Mirta, mostrando il suo tubetto di dentifricio, dice di sapere esattamente di che marca sia, ma che ormai non serve più specificarlo; spiega che il razionamento è un ottimo metodo per assicurare a tutti i beni di prima necessità. Intanto Tania, una ragazza cubana che è andata a trovare i suoi amici in Inghilterra, parla con adorazione entusiastica della possibilità di mangiare un enorme Big Mac da Mc Donald, dello shock di vedere supermercati zeppi di cose, della meraviglia di poter fare zapping tra un canale e l'altro.
Dunque, da una parte il consumismo con la falsa libertà di scegliere tra una marca e l'altra, dall'altra il comunismo con la falsa dignità di una dittatura basata su uno stile di vita modellato più sui limiti imposti dall'embargo che non su un'ideologia che non può essere imposta ad un intero popolo.
Volti sorridenti di chi non ha nulla, costretto a spaccarsi la schiena in luoghi fatiscenti e inquinati, occhi delusi di chi ha tutto e non sa che farsene.
E ancora Zerzan, a dirci che sono in pochi a rendersi conto di tutto questo e che il resto vive da pecora, mangiando cibi spazzatura davanti ad una tv sempre accesa per poi trovarsi un lavoro inutile come la propria vita, sforzandosi di sentirsi felice.
Pesante? No, per due motivi: la fotografia di Carl Nilsson e Lukas Eisenhauer e la colonna sonora.
La prima riesce a proporre immagini mai viste anche se riferite a concetti e situazioni vecchi di almeno cinquant'anni, mixate neanche fossero sequenze musicali. La musica, poi, esprime tutto quello che siamo diventati: frammenti sonori slegati l'uno all'altro, impiantati l'uno sull'altro, dipendenti l'uno dall'altro; ad ogni effetto se ne aggiunge un altro, poi un altro ancora in un crescendo meccanico, senza espressione, quasi fossero i rumori della macchina di cui siamo le rotelle, tutte sostituibili, anonime, uguali, ripetitive fino alla morte.
Le stesse parole dei personaggi e i loro pensieri sono ripresi più volte, ripetuti ritmicamente e strumentalizzati: da Fidel che mima un "I love this company" con la voce di Steve Ballmer , CEO della Microsoft diventato famoso soprattutto per un comizio penoso in cui saltava e urlava su un palco la sua appartenenza ad una delle società migliori del mondo (ovviamente ripreso nel film), a Bush che si augura il risveglio delle coscienze contro lo sfruttamento.
In una parola: geniale.
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