Come mai si parla tanto di abbandonare l'euro? Sarà vero che essere entrati in Europa ci ha fatto più male che bene?
Tentiamo di dare una risposta semplice a queste domande.
L'euro è la moneta unica degli Stati che fanno parte dell'Unione Europea e noi siamo stati i primi ad adottarlo nel lontano 1999.
Per moneta unica si intende una moneta che viene utilizzata in tutti gli Stati che hanno deciso di adottarla (la cosiddetta Eurozona): quando si viaggia in questi Paesi non bisogna cambiarla con quella del posto, se ne usa una sola.
Non siamo solo tra i primi che l'hanno adottata: quando l'UE è stata fondata ovviamente prevedeva anche la costituzione di una Banca, la famosa Banca Centrale Europea. Noi siamo tra gli Stati che hanno fornito una somma maggiore di capitali a questa banca (12,50%), insieme a Germania (18,94%) e Francia (14,22%). In realtà i soldi ce li hanno messi le Banche Centrali Nazionali: la nostra Banca d'Italia, la Banque de France e la Bundesbank.
Siamo quindi tra gli Stati che hanno versato più capitali in questa impresa: in tre arriviamo al 45,66%, mentre tutti gli altri Stati che hanno adottato l'euro arrivano ad un altro 24,31%.
Poi ci sono Stati che sono entrati nell'Unione, ma senza adottare l'euro. Ad esempio l'Inghilterra, che pur continuando ad usare la sterlina ha versato il 14,51% del capitale attraverso la sua Bank of England.
Adottare l'euro non significa avere una politica finanziaria unica: quella è ancora legata alla politica nazionale, per cui se una moneta è forte o debole è responsabilità delle decisioni dei politici di ogni Paese.
Parentesi: cosa significa che una moneta è forte o debole?
Intuitivamente uno pensa che sia meglio se la propria moneta è forte, ma non è proprio così.
Per valutare quanto vale una moneta, si paragona il suo potere d'acquisto con quello di un'altra moneta: ad esempio, se con un euro posso comprare tre pesche e lo stesso posso fare con un dollaro, il tasso di cambio tra un euro e un dollaro sarà di uno a uno. Insomma, se vado in America e devo cambiare un euro per comprarmi il magnete della Statua della Libertà andrò dal cambiavalute e lui mi darà un dollaro.
Ora mettiamo che l'economia americana cominci a svilupparsi più velocemente della nostra: dopo un pò le loro pesche costerebbero di più, perché circolerebbero più soldi. Dunque il dollaro diventerebbe più forte dell'euro, nel senso che mentre con un euro si continuerebbe a comprare tre pesche, con il dollaro se ne comprerebbero di meno, perché le pesche costerebbero di più in America che non in Italia.
Bene, quindi avere una moneta forte spinge a importare merci da Paesi dove la moneta è più debole, così si possono comprare più prodotti di quanto non si potrebbe fare nel proprio Paese.
E noi? Noi esporteremmo di più e poiché la nostra moneta sarebbe più debole di quella degli altri cominceremmo a produrre le nostre cose con materie prime del nostro Paese per non doverle comprare da altri e risparmiare, oltre a impiegare lavoratori italiani per la produzione, col risultato di far fiorire la nostra economia e favorire l'occupazione.
Allora meglio avere una moneta debole? Dipende.
In Italia abbiamo una buona quantità di materie prime, quindi riusciamo ad essere autosufficienti in situazioni in cui dobbiamo limitare le importazioni.
Certo, ci sono alcune cose che non possiamo smettere di chiedere ad altri Paesi con una moneta più forte e che quindi hanno prezzi maggiori dei nostri. Il petrolio, ad esempio, in Italia praticamente non c'è: se vogliamo continuare a fare benzina dobbiamo chiederne a qualcuno che ne abbia, pagando prezzi alti. Il rincaro dei prezzi porta ad uno dei problemi che dovremmo cercare di evitare il più possibile: l'inflazione.
In ogni caso possiamo dire che il nostro è un Paese da moneta debole, perché a parte alcune eccezioni (risolvibili, in verità) qui abbiamo tutto ciò che ci serve per vivere decentemente. Ce ne sono altri in cui le esportazioni sono fondamentali, come l'Islanda, dove di materie prime ne hanno ben poche e la crisi ha creato non pochi problemi.
Il fatto che oggi nell'Eurozona abbiamo tutti la stessa moneta evita che ci siano troppe fluttuazioni nei tassi di cambio, ovvero che il potere d'acquisto della valuta di un Paese sia troppo diverso da quello della valuta di un altro Paese. O almeno, dovrebbe evitarlo.
In realtà a causa della crisi in un Paese come l'Italia, la cui economia ristagna ormai da dieci anni, circola meno moneta e un italiano può comprare meno pesche in Italia rispetto a quelle che può permettersi un tedesco in Germania. Ecco perché si sente dire spesso che l'euro non è altro che un marco travestito: la Germania già prima della costituzione dell'Unione Europea aveva una moneta molto più forte della nostra povera lira e da sempre abbiamo il fiato sul collo perché la nostra economia diventi forte quanto la loro, in modo da non creare troppe differenze tra uno Stato e un altro.
Molti sono stati i tentativi della Merkel in questa direzione e sempre gli stessi i suoi consigli: tassare la popolazione italiana, effettuare dei tagli alla spesa pubblica (quindi anche ai servizi, alla sanità, all'istruzione) pur di fare cassa, prestarci soldi e chiedere la restituzione degli interessi in tempi brevi.
Questo concetto vi sarà più comprensibile se leggerete il mio post sul debito pubblico.
L'ultima novità è il famoso Fiscal Compact: il Patto di bilancio europeo voluto principalmente dalla Germania e firmato il 2 marzo 2012. Esso prevede: l'impegno ad avere un deficit pubblico che non superi lo 0,5% del PIL; l'obbligo per i Paesi con un debito pubblico superiore al 60% del PIL di rientro entro tale soglia nel giro di vent'anni; l'obbligo per ogni Stato di correggersi e di imporsi delle scadenze nel momento in cui non è in grado di raggiungere gli obiettivi di bilancio concordati; l'impegno a inserire le nuove norme nella Costituzione o nella Legislazione nazionali; l'obbligo di mantenere il deficit pubblico al di sotto del 3% del PIL, pena sanzioni automatiche.
Per rispettare questi obblighi l'Italia non può fare altro che chiedere prestiti ad altri Stati e i soldi che ne ricava, invece di spenderli per far crescere il Paese ed uscire da questa situazione di impasse generale, o almeno per assicurare un sussidio di disoccupazione ai propri cittadini, li deve usare per ripagare gli interessi sui prestiti passati.
Come è evidente, siamo in una situazione senza uscita. E non lo dico io, ma i Premi Nobel Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin e Robert Solow in un appello rivolto al Presidente americano Obama.
Certo, avrete sentito dei fondi che la BCE ci ha messo recentemente a disposizione. Del Piano pensato per i PIGS abbiamo già parlato su questo blog, ma c'è da aggiungere una cosa importante: il pericolo del fallimento non pende solo sulla nostra testa, ma anche e soprattutto su quella di Grecia, Spagna et similia. Già i soldi elargiti finora per salvare la Grecia sono tanti, ma sono uno scherzo se si pensa a quelli necessari per la Spagna. Non è possibile che bastino per tutti.
La differenza è che se falliscono loro è un disastro, ma se falliamo noi è semplicemente una catastrofe: essendo tra i principali fautori dell'Europa, l'Eurozona è invasa dai nostri titoli e se dovessimo fallire essi diventerebbero carta straccia, provocando grosse perdite in tutti i Paesi che li hanno acquistati e determinando, se non la fine dell'euro, almeno un forte ripensamento della moneta unica.
Non che queste problematiche non fossero state previste dai più prudenti quando l'Europa è nata, ma all'epoca ci si immaginava la nascita degli Stati Uniti d'Europa, cioè di un gruppo di Stati con una sola politica finanziaria. Le cose sono andate diversamente e oggi grande affidamento si fa sui politici di ciascuna nazione, che devono dimostrare di essere in grado di risollevare la propria economia negli interessi degli altri Paesi.
Quando è caduto il governo Berlusconi eravamo in piena crisi e in molti lo avevano pregato di andar via perché i mercati erano crollati: in pratica gli investitori non gli attribuivano nessuna capacità di risollevare il Paese, quindi si vendevano i titoli italiani alimentando la nostra crisi perché pensavano che di lì a poco non avrebbero avuto più valore.
Anche oggi si parla tanto della necessità di tenersi Monti al governo per rassicurare i mercati sugli sforzi che stiamo facendo e questo non fa altro che aumentare la rabbia degli italiani, costretti da un branco di politici inermi e da un tecnico banchiere a pagare più di quanto non abbiano, a perdere il lavoro e a ritrovarsi senza casa pur di ripagare interessi su prestiti che non hanno chiesto e che non li aiutano a ripartire facendoli sprofondare sempre di più nella crisi.
Non credo di prendere in esame solo le mie idee, visto che il premio Nobel per l'Economia del 2011 Paul Krugman ha definito le politiche economiche europee fallimentari.
In Francia un francese su tre ha votato per uscire dall'euro, per non parlare della Grecia. Il New York Times ci ha accusati di misure economiche distruttive, mentre il Financial Times ci ha invitati a rilanciare l'economia invece di soffocarla con tasse e tagli per non favorire la fuga di capitali all'estero (cioè per non far venire strane idee a quelli che hanno un bel gruzzolo in banca e se lo vedono assottigliare a forza di tasse, per cui se lo portano in Svizzera alimentando l'evasione fiscale, che bene non fa). Il giornale tedesco Handelsblatt non le manda a dire e ha affibbiato a Monti il soprannome di pinocchio perché ha dichiarato di aver pareggiato il bilancio, ma non è vero.
Dal canto suo, il nostro super tecnico ha ammesso di aver sottovalutato la crisi e che la caduta del PIL è tre volte superiore a quanto lui non avesse previsto. Non per questo ha eliminato l'aumento dell'IVA che scatterà ad ottobre e nulla fa pensare che abbia deciso di cambiare approccio.
Parte della colpa ce l'hanno le agenzie di rating, che dalla sera alla mattina hanno declassato di parecchio i titoli sovrani della Grecia, con l'unica conseguenza di aggravare la crisi greca: gli investitori hanno rivenduto i titoli greci che avevano, una volta classificati come validissimi e improvvisamente trasformatisi in carta straccia. Inoltre nel momento in cui hanno svalutato i titoli della Grecia, perché non hanno evidenziato che la crisi stava avanzando svalutando anche quelli italiani?
Se continuano a dare una valutazione eccellente ai titoli dei Paesi in difficoltà non adempiono al loro compito principale: informare gli investitori sui rischi che corrono acquistando un titolo piuttosto che un altro, in modo da permettere reazioni graduali del mercato e una presa di coscienza altrettanto graduale da parte dei cittadini.
Chiarito che uscire dall'euro non significa uscire dall'Europa, rimane il fatto che per fare affidamento sulla moneta unica dobbiamo risolvere alcuni problemi legati agli obblighi che l'Europa (diciamo pure la Germania) ci impone, obblighi che invece di aiutarci in un momento di crisi non fanno altro che peggiorare la nostra situazione.
Onde evitare di finire come la Grecia, diverse soluzioni sono state proposte da chi proprio non ci sta ad uscire dall'euro: nel prossimo post cercheremo di immaginare cosa potrebbe accadere se tornassimo ad una moneta italiana e vedremo quali altre prospettive possiamo considerare pur di continuare ad utilizzare la valuta europea.
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